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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (11 ottobre 2025)
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  • Il commento al Vangelo di domenica 12 ottobre

    Calendario Romano

    La lebbra dell’ingratitudine

    di Dante Balbo*

    «Come si dice alla signora che ti ha dato il biscotto?» «Grazie!». Quante volte gli adulti, mamme, nonne, zie, ci hanno invitato a ringraziare per un dono ricevuto. Spesso non è servito a molto, perché era un’azione formale, di cui eravamo orgogliosi, come per una poesia detta a memoria, oppure andare con la bici senza le rotelle. Quello che contava era l’approvazione dell’adulto e non il senso profondo della gratitudine. Da grande, la malattia, il tempo inesorabile, l’incontro con la fede mi hanno insegnato la gratitudine, per la preziosità di ogni istante, anche se ho ancora molta strada da fare per riconoscere quello che ho ricevuto e ricevo ogni giorno. Oggi la liturgia della XXVIII domenica del Tempo Ordinario parla di ringraziamento, di cui è impregnata la nostra vita di fede, senza che ce ne rendiamo conto. Eucaristia significa appunto ringraziamento, perché la grazia è presente qui e adesso, in forma viva e reale. Il grande grazie è Gesù stesso, che ci insegna la gratitudine verso il Padre suo e padre nostro, con le labbra, ma soprattutto con la vita. Il Padre ringrazia il Figlio per la sua fedeltà risuscitandolo dai morti, così che anche noi possiamo diventare grazie che risuona per i secoli. Nel vangelo sono dieci i lebbrosi purificati da Gesù, ma uno solo torna a rendere lode per il prodigio di Dio. È uno straniero, stupito perché non si aspettava niente, forse isolato persino fra i malati, perché diverso. È un eretico, considerato quasi un pagano, eppure il rabbi lo ha ascoltato come gli altri e lo ha risanato. A volte sono necessarie grandi distanze per insegnarci il valore profondo delle cose; bisogna perderle per riconoscere quanto erano importanti per noi. La gratitudine non è normale nel nostro mondo e la preghiera è spesso solo richiesta disperata, quando abbiamo l’acqua alla gola. Il grazie fra il Padre e il figlio si chiama Spirito Santo e ci è stato donato. La lebbra dell’ingratitudine può consumarci da dentro, ma se lo accogliamo nella nostra vita, possiamo guarire e risplendere di benedizione. *Dalla rubrica Il Respiro spirituale

    Calendario ambrosiano

    La magnanimità di Dio: il tesoro di ogni credente

    di don Giuseppe Grampa

    L’evangelo, la lieta notizia dell’amore di Dio ci raggiunge in questa domenica attraverso tre piccole parabole. Le prime due parabole sono analoghe: due uomini intenti al loro lavoro, a coltivare il campo, e ad andar per mercati cercando un buon affare. E per entrambi la sorpresa: trovare sul mercato una perla di grande valore. Quel che si dice un colpo di fortuna! A quel punto bisogna disfarsi di tutto quanto si possiede e raggranellare il denaro per acquistare la perla di inestimabile valore. Il Regno, cioè l’amore di Dio: ecco il tesoro, ecco la perla! «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia»; parola analoga risuona da millenni: «Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altri dèi accanto a me». Tutto deve passare in secondo piano: prima il Regno, prima l’Evangelo.

    E la terza parabola. Mi immagino alcuni discepoli di Gesù che ascoltandolo avranno guardato le loro mani segnate dal lavoro delle reti per la pesca. Nella parabola si sottolinea come la rete raccolga ogni genere di pesci. Il Regno di Dio, il cuore di Dio è magnanimo, grande, aperto a tutti, nessuno escluso. L’evangelo deve essere annunciato a tutti, calato in tutte le culture, detto in tutte le lingue. Ma la parabola ha una conclusione che sembra in contrasto con il gesto grande del pescatore che getta la rete. Ci sono alla fine, sulla riva del lago, pesci di buona qualità e pesci scadenti, da buttare. Il giudizio che accompagna i nostri giorni e segnerà, definitivamente, l’ultimo giorno potrebbe suscitare in noi paura. Grande e terribile il Giudice che separa pesci di buona qualità da quelli scadenti. Eppure il giudizio esprime rispetto per la nostra libertà. La nostra vita non è un copione già scritto e che dovremmo semplicemente mettere in scena. Proprio perché creati nella libertà siamo chiamati alla responsabilità cioè a rispondere di quanto ci è stato affidato. Giorno dopo giorno costruiamo nella fedeltà la nostra risposta all’amore di Dio.

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