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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (10 ottobre 2025)
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  • COMMENTO

    La guerra delle parole e i veri confini da difendere. Un commento

    di Marco Impagliazzo (Avvenire)

    Le parole possono essere pietre – ammoniva Carlo Levi – e le pietre possono colpire gli uomini e le donne per le loro parole. Ciò che è accaduto negli Stati Uniti con la tragica fine di Charlie Kirk è inaccettabile ed è un campanello d’allarme che riguarda le società contemporanee. Dalle parole d’odio alle pietre. Inoltre, si fa strada il rischio di strumentalizzazione nel dibattito tra forze politiche: “Gli odiatori siete voi!”, “No, siete voi!”. In realtà il linguaggio d’odio è stato utilizzato da parti differenti: oggi emerge chiaramente come l’indulgere in parole di disprezzo, razzismo e demonizzazione dell’altro, finisce in fatti di inciviltà, se non di sangue, che possono minare la qualità del dibattito pubblico e lo stesso equilibrio democratico. La questione è vasta: la società va dividendosi in “curve” di tifosi, “tribù” d’appartenenza a causa della polarizzazione, dello spaesamento e del clima bellicista diffuso in tutto l’Occidente. Si è sempre più preda di pulsioni semplificatorie e generalizzanti, che alimentano circuiti di intolleranza, esclusione, pregiudizio. La fine dei pensieri lunghi, profondi, meditati, delle parole pensate, ha significato il prevalere di schemi polarizzati, veloci, irriducibili.

    La contrapposizione non teme di gettare benzina sul fuoco delle contraddizioni e dei risentimenti, incendiando le parole e le idee. Si dovrebbero “costruire ponti” e “non alimentare ulteriormente le polarizzazioni”, ricorda in una recente intervista papa Leone. La guerra delle parole inizia sempre all’interno di una società, per poi trasferirsi verso il nemico esterno. Le prime vittime sono in genere i poveri che vengono additati con epiteti terribili, ed esclusi. Poi si passa agli immigrati e alla fine al nemico. C’è un filo rosso tra il pregiudizio, l’esclusione, l’odio e infine la guerra.

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