In occasione della Messa d’inizio pontificato di Papa Leone, abbiamo raccolto le impressioni di Mons. Alain de Raemy, vescovo di Lugano, che ha partecipato alla celebrazione come delegato ufficiale dei vescovi e degli abbati territoriali svizzeri. In questa intervista, ci racconta l’intensità spirituale vissuta durante la cerimonia, il significato ecclesiale della sua presenza a Roma, e condivide alcune riflessioni sul cammino della Diocesi di Lugano nel contesto più ampio della Chiesa svizzera e universale.
di Regula Pfeiffer/kath.ch
Mons. de Raemy come ha vissuto la messa d’inizio pontificato di papa Leone?
È stato un momento bellissimo, raccolto, partecipato con grande entusiasmo nel canto e nelle preghiere: davvero un coinvolgimento visibile e udibile di una moltitudine tanto unita, quanto diversa!
Dove si trovava durante la messa – nella sezione dei vescovi che si vedeva da lontano come sezione bianca?
Questi erano i preti, tantissimi. Noi vescovi eravamo posizionati sul sagrato, a sinistra dell’altare guardando dalla piazza verso la facciata della basilica (lo spazio ha destra è stato riservato alle autorità politiche e religiose). Eravamo esattamente dietro ai cardinali - che peraltro anche loro sono di solito vescovi.
Per lei era un momento importante, perché?
Perché ogni Diocesi in Svizzera dipende direttamente dal Papa, non c’è un’Arcidiocesi che funge da “mediatrice”… Tuttavia, per me era importante anzitutto e semplicemente da vescovo, come successore degli apostoli che dipende dal Papa e che proprio da lui, Successore di Pietro, viene nominato e a lui promette totale obbedienza e disponibilità.
Ha portato un messaggio da parte dei vescovi svizzeri?
Il fatto che ci sia stata la mia iscrizione ufficiale come delegato dei vescovi e degli abbati territoriali svizzeri è già un messaggio del nostro coinvolgimento a livello svizzero. Anche perché, comprensibilmente, non è stato possibile salutare il Papa di persona, il quale aveva tante altre persone da accogliere personalmente. Ma ho avuto tanti contatti interessanti con vescovi di tutto il mondo e della curia romana. E non dimentichiamo che in piazza c’erano anche tanti laici svizzeri (in particolare quelli giunti a Roma per il Giubileo delle confraternite, ricordati due volte dal Papa) e fra loro anche la rappresentante svizzera dell’Europa al sinodo, Helena Jeppesen-Spuhler (ci siamo incontrati nell’aereo che ci portava a Roma sabato sera).
Ha incontrato rappresentanti della Guardia Svizzera per esempio?
Si, sono stato a pranzo con loro in caserma. Tanti incontri, erano tutti felicissimi!
Ha avuto incontri che riguardavano la sede vescovile a Lugano?
No, e non era lo scopo!
Dove sta questa «causa» attualmente?
La causa, o se si vuole, la sfida, sta nella nostra volontà di andare avanti come Chiesa locale che vive concretamente la speranza, che vive la fede: nessuno ne viene impedito, anzi! La Diocesi non è da sola, condivide le iniziative della Conferenza episcopale (con i nostri rappresentanti nella commissione sinodale, il pellegrinaggio nazionale per il giubileo ad Einsiedeln con un record di 550 partecipanti dal Ticino su un totale svizzero di 1700 partecipanti, il nuovo tribunale ecclesiastico nazionale in costruzione, le misure di prevenzione in atto e qui penso, ad esempio, l’assesment obbligatorio per chi comincia una formazione pastorale). La diocesi non è né isolata, né abbandonata, né sprovvista di un vescovo. Sono tante le iniziative e i progetti concreti che spaziano su diversi ambiti: il mondo della sanità, l’insegnamento della religione a scuola, la formazione permanente del clero, il rinnovamento della curia; l’aiuto che stiamo per offrire ai consigli parrocchiali, al mondo educativo (le scuole cattoliche, ma non solo) e a quello della sofferenza e delle disabilità...