di Laura Quadri
«Ci sono anche sacerdoti cristiani tra le vittime delle fazioni jihadiste affiliate al nuovo governo. Qui non risparmiano nessuno: ogni minoranza è ora in pericolo». È un accorato appello, carico di preoccupazione e sgomento, quello che ci raggiunge dalla Siria in queste ore, tramite la voce di una volontaria di un’associazione ticinese attiva in loco, che ci chiede di rimanere anonima visto il difficilissimo contesto del Paese in queste ore. Alla Comunità internazionale, senza mezzi termini, lancia un triplice grido: non chiudere gli occhi, non fingere indifferenza e intervenire il più presto possibile affinché i diritti di tutti siano tutelati appieno all’interno del nuovo contesto governativo, passato al potere lo scorso 8 dicembre, destituendo il governo di Al-Assad.
Davanti agli occhi della volontaria, in contatto telefonico costante con la popolazione, sono infatti scorse immagini di violenze, che hanno coinvolto in primis la minoranza alawita, sostenitrice del deposto presidente e dunque, in un’azione che ha preso piede in pochi giorni, combattuta dalle forze governative. Migliaia le persone coinvolte; sebbene l’operazione militare che sarebbe terminata secondo le autorità di Damasco lunedì sera, il contesto rimane molto teso. «L’associazione per la quale lavoro è sempre stata molto attiva in Medio Oriente. Dal 2014 siamo anche in Siria, dove stiamo lavorando con le varie Chiese, cattolica e siro-ortodossa in particolare, con la gestione di diversi centri per bambini abbandonati sia cristiani che musulmani. Gli accadimenti degli ultimi giorni ci hanno tuttavia costretto a un forte ridimensionamento: i nostri bambini e i volontari sul posto avevano paura, nel grande clima di instabilità, anche solo a uscire per le strade».
Cristiani e alawiti, prosegue nella sua testimonianza la volontaria, sono molto vicini, anche territorialmente. Così gli uni sono stati testimoni della distruzione degli altri: «Le case sono state bruciate, i terreni distrutti, le persone torturate e poi uccise. Gli alawiti oggi non hanno speranze; né lavoro né case». Si calcola che l’operazione militare degli ultimi giorni abbia causato il peggior spargimento di sangue dalla cacciata a dicembre di Assad: «Sulla carta, costituzionalmente, dovrebbe valere il rispetto per ogni religione, etnia, cultura. Il governo ha visitato personalmente le singole minoranze per dare queste garanzie. Ma tutto è cambiato quando gli alawiti si sarebbero opposti. La risposta è stata violenta, a mio modo di veder, sproporzionata e molto rapida».
La volontaria ricorda anche l’impegno delle Chiese, che pur con timore, si sono esposte: la Chiesa greco-ortodossa, siro-ortodossa e greco-cattolica: «Lo hanno detto chiaramente, in una dichiarazione congiunta: non è questo che avete promesso. La Siria è un popolo civilizzato, in cui si viveva da fratelli e sorelle. Non c’è vera religione o barriera che possa separarci». La speranza della volontaria ora è poter presto tornare in Siria per dar seguito ai progetti umanitari: «Ricevo da tutti messaggi molto brevi e lapidari: “Prega per noi”. Penso che intanto, nell’attesa, sia nostro dovere dare seguito a questo appello», conclude.
A fronte di questo complesso quadro umanitario, si è mobilitata anche Caritas Svizzera. Il suo direttore, Peter Lack, come ha potuto spiegare ai microfoni di «Chiese in Diretta» su Rete Uno la scorsa settimana, è da poco rientrato da un viaggio proprio in Siria e Libano, effettuato per valutare in loco l’utilità dei progetti di Caritas. «Ho superato assieme alla mia équipe diversi posti di blocco. In generale direi che la situazione della sicurezza è peggiorata. I nostri collaboratori in Siria mi hanno detto che oggi non è più possibile percorrere certe strade di Damasco, mentre sei mesi fa lo era ancora. Il cambio di potere sta avendo un effetto profondo sul modo con cui il Paese opera, molte cose vengono messe in discussione e sono incerte», constata Lack.
Caritas Svizzera cerca di riportare qualche tenue speranza: «Caritas è riuscita a sostenere lo sviluppo di microimprese per singole famiglie. Questo dà alle persone nuove prospettive di guadagno. Ma tra le priorità principali c’è anche quella di rafforzare la società civile. È un aspetto decisivo al fine di costruire una società stabile e pluralista che offra prospettive di serenità ai diversi gruppi presenti. Questi diversi gruppi di popolazione devono poter vivere e partecipare al processo democratico. Le organizzazioni caritatevoli e religiose non si limitano a fornire servizi umanitari, riflettono anche la diversità della società nel Paese. Possono quindi dare un importante contributo alla stabilità e alla sicurezza e al diritto delle minoranze», sottolinea infine Lack.
«Caritas Svizzera» offre la possibilità di donazioni dirette per la Siria, a sostegno dei progetti portati avanti sul posto. Si può visitare la pagina dedicata: caritas.ch/it/aiuto-alle-vittime-della-crisi-siriana/. Ugualmente la «Catena della solidarietà» dà possibilità di donazioni per la Siria ai seguenti riferimenti bancari: ccp. 0-15000-6, CH82 0900 0000 1001 5000 6, SWIFT: POFICHBEXXX, Postfinance, 3030 Berna.
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