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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 giugno 2025)
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  • Joel Pralong

    Joël Pralong: "L'espressione del Papa con i vescovi italiani sull'omosessualità è da relativizzare"

    «C’è troppa frociaggine nei Seminari». Questa frase di Papa Francesco, pronunciata il 20 maggio scorso, a braccio davanti ai vescovi italiani e finita una settimana più tardi nei media, provoca indignazione e incomprensione. Qual è dunque la vera posizione del Papa in rapporto all’omosessualità? Proponiamo la reazione di Joël Pralong, già rettore del seminario di Sion. Autore di diverse opere sul tema dell’omosessualità, tra cui Homos, trans et Dieu les bénit! (ed. St-Augustin 2024), è dell’avviso che non si debba dare troppa importanza a queste parole del Papa, per non denaturare la linea che Bergoglio porta avanti sin dall’inizio del suo pontificato.

    Joël Pralong, come ha percepito, personalmente, questa frase?

    "Dapprima ridendo, e poi pacificamente. È pur sempre una frase di Bergoglio e ha il diritto di esserlo. Non bisogna dimenticare che è uscita in occasione di una discussione e uno scambio informali. Sono dunque le parole di un uomo talvolta impulsivo, che a volte sembra anche contraddirsi. In più il Papa il giorno seguente si è scusato. Sono dunque dubbioso nel credere che questa espressione rappresenti davvero il suo pensiero. Il vero pensiero del Papa sull’omosessualità è espresso in Fiducia supplicans, che non è qui assolutamente rimessa in questione ed è un documento firmato dal Papa stesso. È questa linea etica ad essere importante, posizione che difende da 11 anni a questa parte, da quando aveva affermato “se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.

    La discussione con i vescovi italiani avrebbe toccato la riforma di una norma, pubblicata nel 2005 da papa Benedetto XVI, con la quale si escludevano dai seminari gli omosessuali praticanti, ma anche le persone con «tendenze omosessuali» o sostenitori della «cultura gay». Si tratta per Francesco di riallacciarsi dunque a Benedetto XVI?

    «Di nuovo, lo ribadisco, penso che l’impulsività può superare ciò che si pensa. In questa frase del Papa, non è questione di omosessuali praticanti o meno. Non gli si può far dire ciò che egli non dice. Mi sembra invece, secondo me, che il Papa abbia voluto dirsi refrattario all’entrata in seminario di persone apertamente gay, sia che siano praticanti o meno. Il termine "gay" è da ricondursi a un movimento quasi politico, una lobby. E ciò che si capisce, è che ci sono delle persone apertamente gay nei seminari in Italia e che sono militanti per questa causa. Non si può accogliere in un seminario qualcuno che si presenta come militante per la causa gay o che vuole restare in una relazione di coppia. Quando un giovane entra in seminario, che sia omosessuale o eterosessuale, ciò che è importante, è la sua maturità. Gli si chiede infatti di impegnarsi in una vita di dono e castità. Mons. Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friborgo lo dice bene nel suo dialogo con la giornalista Camilla Krafft pubblicato nel volume Tu n’abuseras point (Slatkine 2024). La castità è guardare il prossimo in una modalità che non implica seduzione o fusione”.

    Nelle interpretazioni possibili, qualcuno ha detto che il Papa non voglia più degli omosessuali nei seminari. E, spingendosi oltre, che i preti omosessuali sarebbero, secondo lui, forzatamente tentati da una doppia vita. Cosa ne pensa?

    “Dubito davvero che sia questo il pensiero del Papa! Perché dunque si dovrebbe chiedere a un gran numero di preti, in tutti i Paesi del mondo, di lasciare il loro ministero! Non ho delle statistiche sotto mano, ma ci sono diversi testi scritti al riguardo. Da rettore del seminario di Sion, avevo invitato uno psicologo cristiano per una lezione sull’affettività e la sessualità ai seminaristi. Mi riferì che avendo tenuto lo stesso corso in Francia, l’80 per cento dei seminaristi gli aveva posto la domanda sull’omosessualità, fatto che dimostra la volontà di interpellarsi sulla questione. Non bisogna nascondere la faccia. Mi baso, per dirlo, anche sulla mia personale esperienza, dato che ho studiato la questione relativamente a più di 20 diocesi, occupandomi in particolare di Francia, Svizzera e Brasile, nel contesto delle pastorali famigliari. Sulla seconda parte della vostra domanda, direi che eterosessuali o omosessuali che siano, i preti sono confrontati con le stesse scelte e le stesse difficoltà in rapporto all’astinenza sessuale. La rinuncia all’attività sessuale è un sacrificio, e questa scelta è un combattimento santo! Ma è anche accompagnata da grandi gioie. Per contro, ciò che può provocare dei problemi nei sacerdoti o nei candidati al sacerdozio che hanno un orientamento omosessuale, è la segretezza, o anche la repressione. Questo rischia di condurli ad attitudini incoerenti e scandalose”.

    Il fatto che il Papa abbia parlato di frociaggine, non rischia di fomentare la repressione?

    «Sì, ed è per questo che bisogna ricondurre queste espressioni alla loro misura, per non accentuare la colpevolezza di chi è riguardato da questa espressione. Ciò che è grave, non è l’orientamento omosessuale, ma il fatto di nascondere. Poiché agire in segretezza si traduce spesso in atteggiamento di potere e dominazione, con il desiderio di possedere l’altro, allontanandosi dall’ideale di castità. Un’altra deriva è quella che chiamo il «liturgismo», la liturgia vissuta come uno spazio di perfezione e purificazione in rapporto a una vita lontana dal proprio ideale; il luogo insomma in cui siamo perfetti. Ciò significa focalizzarsi su un perfezionismo che diventa un rifugio. Dunque insisto: per far cadere tutti i tabu, bisogna parlarne, non in termini di minaccia o proibizioni, ma in termini di umanità, come il Papa sta facendo da 10 anni. È questo l’atteggiamento che bisogna tenere in considerazione del suo pontificato, nonostante questa frase tristemente pronunciata».

    (lb/cath.ch/adattamento e traduzione Redazionecatt)

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