di Lorenzo Planzi*
Era il Mercoledì delle Ceneri del 2017. A Roma, dove ho lavorato e studiato quattro anni, ero arrivato da pochi mesi. Grazie al Fondo nazionale svizzero, ho potuto dedicarmi alle ricerche archivistiche per la mia tesi di abilitazione in storia della Chiesa, sulle relazioni tra Svizzera e Santa Sede negli anni 1873-1920. Nella basilica di Santa Sabina, sull’Aventino, ho partecipato per la prima volta, all’inizio della Quaresima, ad una Messa celebrata da papa Francesco. Mentre il Santo Padre usciva dalla chiesa – tra le più antiche della Città eterna, a due passi dal giardino degli aranci – ho potuto incrociare per la prima volta il suo sguardo e mi sono sentito illuminato da una luce speciale, mai incontrata prima. A quel primo incrocio di sguardi sono seguiti altri incontri personali – ed è stata ogni volta una grazia grande.
La misericordia e gli ultimi
Mi ha colpito la sua ripetuta richiesta di pregare per Lui, il suo prendersi a cuore ogni persona ed ogni storia, ma anche la sua curiosità per la Svizzera. La stessa curiosità per la Svizzera l’ho riscontrata nei Papi del passato, da Pio IX a Benedetto XV, attraverso le corrispondenze consultate negli archivi vaticani. Dopo gli anni della rottura con Berna ai tempi del Kulturkampf, la Santa Sede ha ricucito progressivamente gli strappi grazie alla «diplomazia dell’orecchio », capace di mettersi all’ascolto delle particolarità elvetiche.
La diplomazia della Chiesa l’ha portata a mai considerare nulla o nessuno come definitivamente «perduto» nelle relazioni tra nazioni e popoli. È questo il cuore del significato della diplomazia teologica portata avanti dai Papi, che cerca di superare le fratture e di avvicinare le distanze.
Questa categoria teologica della misericordia unisce, in un certo senso, la diplomazia della Santa Sede nel passato al pontificato di Francesco. La sua attenzione agli ultimi ed alle periferie è stata al cuore dei suoi dodici anni quale successore di Pietro. Dal primo viaggio apostolico a Lampedusa nel 2013 all’apertura della Porta Santa nella cattedrale di Bangui nel 2016, Francesco si è messo all’ascolto degli scartati di questo mondo. A chi lo ha attaccato, ed ancora lo attacca, per aver tentato un dialogo persino con le diplomazie di Mosca e Pechino, possiamo solo indicare come il linguaggio della politica del Papa argentino si è ispirato, dal primo all’ultimo giorno, a quella misericordia che non considera mai nulla come perduto.
Bergoglio sulla via di Emmaus
È la misericordia la chiave di lettura del pontificato di papa Francesco, che ha avuto il suo compimento il Lunedì di Pasqua 2025, sulla strada di Emmaus. Anche i discepoli di Emmaus sono, a modo loro, degli scartati, che si allontanano da Gerusalemme, delusi da una Chiesa nascente forse incapace di rispondere alle loro inquietudini. Il Risorto si fa accanto a loro, come Francesco ha accompagnato in questi anni tanti altri discepoli di Emmaus, che vagano dimenticati, senza meta, alle periferie del mondo.
Papa Francesco ha acceso una luce in questo modo, illuminando tanti volti e tante storie, e questa luce continuerà a brillare.
* Storico della Chiesa, ricercatore e docente all’Università di Friburgo, già ricercatore in Vaticano dal 2017 al 2020.