Qual è la posizione della Chiesa rispetto agli abusi sessuali? Cosa apporta all'istituzione la voce delle vittime? Queste ultime vengono sempre ascoltate correttamente? Sono tante le domande discusse durante un Café scientifique inedito, tenutosi il 29 ottobre 2025 a Friburgo, che ha avuto luogo in occasione della proiezione del film La Fronde del collega romando Pierre Pistoletti.
Quando le luci si riaccendono nella sala del Nouveau Monde, a Friburgo, i volti sono seri, gli occhi lucidi. La forza emotiva del documentario La Fronde (2025), del giornalista e videomaker vallesano Pierre Pistoletti, ha fatto effetto nella sala gremita. Il film segue il percorso di riconoscimento di Isabelle Duriaux, abusata da un prete quando aveva otto anni.
Da diversi anni l'Università di Friburgo organizza Cafés scientifiques in collaborazione con cath.ch. Questi incontri interattivi e aperti a tutti su temi di attualità si svolgono presso l'Espace du Nouveau Monde, a Friburgo. Essi consentono di avvicinare la ricerca universitaria al grande pubblico.
Il documentario mostra in particolare il suo incontro, nel 2023, con monsignor Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo (LGF). Il film espone con sincerità e profondità il percorso della donna della Gruyère verso la ricostruzione, ma anche le sue riflessioni sulla Chiesa. «Ciò che mi sconcerta è questo sistema in cui tutti sanno ma nessuno agisce», afferma. Si vedono anche le terribili conseguenze di un abuso sessuale. «Non è un prete che commette un errore, è una vita che viene distrutta!». Per Isabelle Duriaux, gli abusi non sono una malattia in quanto tale, ma piuttosto il sintomo di una malattia che è «l'abuso di potere».
Testimonianze che incoraggiano il cambiamento
Questa idea rimane sottintesa nella discussione che segue la proiezione. Il dibattito inizia con i cinque esperti presenti sul palco. Mélanie Cornet afferma fin dall'inizio che la parola delle vittime costituisce un dovere storico e di memoria imprescindibile. Per l'assistente diplomata alla cattedra di teologia pastorale, pedagogia religiosa e omiletica dell'Università di Friburgo, queste testimonianze sono essenziali nella prospettiva di un «mai più».
Anche monsignor Morerod ritiene che le testimonianze delle vittime gli abbiano dato molto. «A poco a poco, ho visto i punti in comune e questo mi ha aiutato a capire». Cita quindi una frase che ritiene «molto azzeccata», pronunciata da Pierre Pistoletti durante le riprese, secondo cui «le vittime sono i nostri profeti». Le testimonianze consentono di comprendere le strutture che hanno reso possibili gli abusi. Il vescovo cita come una delle cause fondamentali una «cultura della menzogna» favorita dagli autori degli abusi.
Persistenza della negazione
Stéphanie Roulin ricorda che per molto tempo le vittime sono state denigrate in un contesto in cui la priorità della Chiesa era quella di proteggere se stessa. Per la lettrice del Dipartimento di Storia contemporanea dell'Università di Friburgo, che ha partecipato allo studio sull'Abbazia di St-Maurice, le testimonianze delle vittime ci aiutano anche a comprendere le conseguenze a lungo termine degli abusi, anche quando i fatti sono considerati meno gravi. Pur sottolineando i progressi compiuti dalla Chiesa nel riconoscere e affrontare questo flagello, la specialista ritiene che in alcuni settori dell'istituzione persista la tendenza a «minimizzare» e «eufemizzare» gli atti.
Le domande del pubblico sulla Chiesa
Le domande del pubblico, a volte emotive, riguardano principalmente le strutture della Chiesa e la volontà di riformarle. Qual è l'influenza del patriarcato? L'obbligo del celibato è un fattore aggravante? Quali misure sono state messe in atto per combattere il fenomeno? La Chiesa sta facendo abbastanza? Quest'ultima domanda suscita opinioni contrastanti. Mentre alcune voci criticano la debolezza o la mancanza di una reale volontà da parte dell'istituzione, altre difendono i progressi compiuti.
Il diacono friburghese Daniel Pittet, presente in sala, sottolinea che la stragrande maggioranza degli abusi non avviene in ambito ecclesiale, ma all'interno delle famiglie. Egli stesso vittima di un prete durante l'infanzia, ha scritto diversi libri e raccolto numerose testimonianze sull'argomento. Si dice «molto edificato da ciò che sta accadendo nella Chiesa in Svizzera» in relazione alla lotta contro questo flagello. Ringrazia in particolare monsignor Morerod per la sua azione. «Grazie a te, Charles, oggi sono un uomo che sta in piedi!», esclama.
Patriarcato e clericalismo
Diversi ospiti sottolineano tuttavia alcune lacune nella risposta dell'istituzione. Rita Menoud, collaboratrice specializzata in abusi e prevenzione per la diocesi di LGF, deplora che la Chiesa cattolica non partecipi ai grandi congressi internazionali sull'argomento.
Stéphanie Roulin ricorda il «tabù sulla sessualità» che ancora esiste all'interno della Chiesa. Sottolinea che il patriarcato si riflette principalmente attraverso il «clericalismo». Un aspetto della mentalità che molti partecipanti al Café scientifique ammettono essere ancora presente. «Sono stato criticato perché a volte porto uno zaino», rivela monsignor Morerod. «Per queste persone, così facendo desacralizzo la mia funzione».
Per Mélanie Cornet, il clericalismo deriva in particolare da una mancanza di formazione dei sacerdoti. Una dimensione che lei raccomanda di rafforzare, in particolare includendo le scienze umane.
Continuare a parlare
Charles Morerod ricorda che nella sua diocesi e in Svizzera sono state messe in atto misure preventive già da molto tempo. La tappa più recente è stata la firma di un codice di condotta per tutti gli agenti pastorali della diocesi. Ammette che la lotta non deve comunque fermarsi e che le vittime devono continuare a far sentire la loro voce.
Rita Menoud sottolinea che anche in caso di prescrizione di un abuso, è possibile segnalarlo alla giustizia, che può valutare l'avvio di un procedimento. «Anche se questo non porta a una condanna, il fatto di essere creduti fa parte del percorso di risarcimento per la vittima». Da parte sua, il vescovo incoraggia anche le persone interessate a venire a parlare con lui. «È un passo che può essere positivo, credo, in particolare per le persone che provano un senso di colpa per ciò che hanno subito. In questo modo posso dire loro, a nome della Chiesa: “Non è colpa vostra!”» (cath.ch/rz)
«Questo film è il portavoce del mio grido: uomini di Chiesa, ascoltate, sentite, riconoscete!»
A margine della proiezione di La fronde durante il Café scientifique, Isabelle Duriaux si è confidata con cath.ch sul reportage di Pierre Pistoletti che l'ha seguita durante tutto il suo processo di recupero. Oggi è «un'adulta, vittima di un crimine e non più una bambina intrappolata».
Perché ha accettato la proposta di realizzare un reportage su questo percorso?
Isabelle Duriaux: All'inizio non ho accettato nulla. Ero in una situazione di tale angoscia che non vedevo alcuna prospettiva. Ero in modalità «automatica» e acconsentivo a tutto ciò che mi veniva proposto. Mi fidavo, sapevo che altre persone erano state ascoltate dai membri della CECAR (Commission Ecoute Conciliation Arbitrage Réparation, Commissione Ascolto Conciliazione Arbitrato Riparazione). Non avevo alcuna capacità psicologica per prendere decisioni. Gradualmente ho acquisito la certezza che si stava sviluppando qualcosa di essenziale, ovvero che la verità doveva essere liberata. Che questa era l'unica strada possibile per la mia sopravvivenza. Il signor Pistoletti mi ha ovviamente chiesto regolarmente il mio consenso e io ho detto “sì” perché trovavo un equilibrio tra gli orrori che stavo scoprendo e la certezza che la verità veniva alla luce.
Cosa è cambiato in lei negli ultimi tre anni?
È enorme! Non sapevo assolutamente cosa mi aspettasse quando c'è stato questo tsunami di riattivazione della memoria. Ho davvero temuto di impazzire. Volevo che finisse. La signora M.M.Z mi ha sostenuto; la sua esperienza professionale mi dava totale fiducia. È vertiginoso capire che il proprio malessere ha una causa. È violento constatare che la mia vita mi è stata rubata. Non ho parole per descrivere il turbamento che provo di fronte all'enormità del compito di accettare che la mia vita inizi a 70 anni! Oggi sono un'adulta vittima di un crimine e non più una bambina intrappolata che grida perché qualcuno venga a liberarla. Le mie crisi d'ansia si sono attenuate. La gioia si fa strada nei miei pensieri. La mia autostima sta crescendo. È un percorso di tre anni molto solitario e allo stesso tempo impossibile da percorrere senza una comunità benevola e solidale. Il personale della CECAR, il personale della diocesi, la psichiatra, il personale medico, i miei figli, il signor Pistoletti e molti altri che ora non ricordo.
Come riassumerebbe il messaggio che desidera trasmettere attraverso questo film?
La parte personale e la parte di comunione con le altre vittime. La parte personale: gli incontri per il film si sono inseriti nelle fasi della mia presa di coscienza che hanno fatto seguito alla deposizione alla CECAR. Gli appuntamenti regolari con una psichiatra si sono affiancati agli incontri con il signor Pistoletti; questo ha aperto davanti a me due strade parallele eppure molto spesso collegate da passerelle: una strada strettamente personale di cura e un'altra strada pubblica che serve a portare la verità alla luce e incoraggiare così le vittime che sarebbero ancora rinchiuse nei loro segreti a testimoniare. Questo film è il portavoce del mio grido: «Uomini di Chiesa, ascoltate, sentite, riconoscete, mettete in atto cure personali per le vittime finché ne sentono il bisogno!».
Lei cosa spera?
Spero vivamente che questo film permetta una libera espressione nei consigli parrocchiali. Che nessuno metta più in dubbio le confidenze prima ancora di verificare i fatti. Ad un certo punto mi sono resa conto che non avrei potuto trovare serenità se non avessi reso pubblico questo crimine, affinché nessuna vittima rimanesse in silenzio e, di conseguenza, gli orrori continuassero.
Più volte ho dubitato delle mie forze psichiche per continuare ila realizzazione del film. Ogni volta ha prevalso la mia responsabilità di porre fine a queste torture. Il film è stato portato a termine. Un aspetto che mi sta a cuore è quello di toccare anche gli stupratori o i potenziali stupratori. Devono trovare il coraggio di confidarsi con il loro medico e con la polizia. Sono persone che devono essere curate per porre fine a questi drammi. (cath.ch/red/traduzione e adattamento redazionecatt)
Il film La Fronde sarà trasmesso su cath.ch alle 17:00 del 30 ottobre 2025.
fonte: cath.ch / Raphaël Zbinden / traduzione e adattamento catt.ch