Riuniti dal 18 al 23 febbraio per cercare delle possibili soluzioni alla crisi migratoria, i Vescovi di tutto il Mediterraneo possono giocare un ruolo importante per le migrazioni in Europa. È l’avviso del professore di diritto e collaboratore di Sant’Egidio a Roma Paolo Morozzo della Rocca.
Professore
Della Rocca, cosa si aspetta dalla riunione di Bari?
I Vescovi rappresentano una forza etica reale e sociale in un tempo in cui l’insieme
è in crisi. Sono una forza per cambiare lo stato delle cose, in un periodo in
cui diventa sempre più difficile per i sindacati, i partiti politici e le
associazioni pensare in maniera strategica alla giustizia sociale. Sul fronte
della migrazione, abbiamo in Europa un doppio problema, l’invecchiamento della
popolazione che va di pari passo con lo sviluppo di una cultura della paura di
fronte alla migrazione illegale. Ma, per contro, non esiste una migrazione
legale in Europa. I Vescovi possono allora giocare un ruolo importante per
organizzare, su suolo europeo, non solo un’entrata e un soggiorno legale per i
migranti, ma anche per una vera politica dell’accoglienza. Poiché esistono delle soluzioni concrete.Si potrebbe immaginare un patto europeo delle migrazioni. Di che tipo?
Si potrebbe
per esempio immaginare di decidere delle quote di rifugiati, che si facciano
arrivare per via aerea e che costituirebbe un orizzonte di speranza per quelli
che fuggono il loro Paese. Si potrebbe altresì lavorare per delle procedure di
raggruppamento famigliare e autorizzare le comunità locali a dichiararsi pronte
a garantire l’accoglienza degli immigrati.Cosa impedisce, secondo lei, che questa politica si sviluppi?
Lo
impedisce la politica attuale, che ha favorito una migrazione illegale e
clandestina, con corollario lo sviluppo del traffico di esseri umani (un
business salito nel 2016 a 6,8 miliardi di franchi, secondo l’Ufficio delle
Nazioni unite preposto alla lotta al crimine organizzato), del lavoro in nero,
della povertà e dei problemi di integrazione, che alimentano il rifiuto di
impegnarsi per lo sviluppo di una migrazione legale. Si osserva un parallelismo
tra l’esplosione della migrazione, sotto la forma di un nazionalismo che preme
per una chiusura allo straniero, e di un populismo che fa degli immigrati i responsabili
di tutti i problemi. Sarebbe, ad esempio, a causa loro che non si trova lavoro,
il che è falso.Si è giunti a poter regolare la migrazione verso l’Europa, secondo Lei?
No,
poiché non c’è l’ambizione di farlo. A livello europeo, si constata una
sconfitta. Il meccanismo di Dublino non funziona. È basato sul principio che una domanda d’asilo deve
essere esaminata dal primo Paese europeo in cui il migrante arriva. Inoltre,
coloro che richiedono di entrare in Europa sono tenuti ai margini, sugli Stati di
frontiera. L’Europa mantiene dunque un sistema che non funziona. Le proposte di
cambiamento non sono all’altezza e i politici non propongono alcuna soluzione.Nel 2019, il Mediterraneo ha registrato il livello più basso di decessi e di traversate dal 2014. Ma il numero di decessi tra i migranti in partenza dalle coste
Questo è
dovuto al fatto che chi attraversa il Mediterraneo partendo dalle coste
libanesi è stato abbandonato alla sua sorte. Il centro di coordinamento
libanese dei soccorsi in mare e la guardia costiera, che si è attivata dopo la
fine dell’operazione italiana Mare Nostrum, nel 2014, non è competente per
assumersi questo compito. Non possiamo chiedere a un Paese in guerra come la
Libia, in cui lo Stato è quasi assente, di cambiare! Bisognerebbe al contrario
fare in modo che i flussi migratori non tocchino del tutto la Libia, che è un
campo di tortura. Questo però necessiterebbe l’accordo tra i Paesi africani,
nel contesto di una politica emigratoria e nel rispetto delle regole del
diritto internazionale.Cosa ne
pensa della condizione dei migranti nei campi libici?
Sono indegni per l’Europa. Prendete il campo di Moria, sull’isola di Lesbos.
Conta più di 19000 immigrati per un luogo che potrebbe accoglierne solo 2840! Gli
immigrati restano fermi lì per anni, con il rischio di morirvici. Le condizioni
materiali sono disumane. Un’onta! Bisogna finirla e aiutare questi Paesi a
fornire un’accoglienza dignitosa. Ma per farlo, non basta donare soldi: bisogna
condividere la responsabilità verso le domande d’asilo e anche verso il
trasferimento dei migranti in altri Paesi europei.Lei era anche presente l’8 febbraio scorso a Roma per il 52esimo anniversario di Sant’Egidio. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario dello Stato vaticano, ha preso la parola e ha messo in guardia contro la tentazione nazionalista. Ha anche
Sì, totalmente.
Abbiamo bisogno di condividere un sentimento di responsabilità per evitare la distruzione
della nostra civilizzazione e del nostro vivere comune. Quest’ultimo comincia a
casa mia, dentro le mura della mia abitazione, ma deve continuare al di là
delle barriere nazionali, verso l’unità nella diversità di tutti gli esseri
umani. E vivere insieme significa integrare…La comunità di Sant’Egidio ha dato il via a diversi corridoi aerei. Perché l’idea
La
Francia, il Principato di Andorra e il Belgio li hanno ripresi. La nostra
ambizione è di vedere il progetto svilupparsi come uno dei fiori all’occhiello
della politica migratoria europea, e non solo come una “buona pratica”. Ma per
questo vi è bisogno di un quadro giuridico a livello europeo. In quattro anni,
i corridoi umanitari hanno permesso a oltre 25000 persone d’arrivare sane e
salve in Italia e a circa 800 persone di fare la stessa cosa in Europa. A livello nazionale, è già un grande risultato. Se guardate le cifre sull’accoglienza
a livello europeo, certi Stati, con tutta la loro potenza, hanno fatto meno di
tutto questo. Nutriamo dunque l’ambizione di fare ancora di più, ma secondo noi
il bilancio è positivo, perché ogni cifra rappresenta una vita salvata, e
questo non è niente!Cath.ch/red