di Laura Quadri
“In Santuario, al momento di intonare l’inno giubilare, Pellegrini di speranza, ho sentito risuonare la voce forte e chiara, sovrastante, dei pellegrini italofoni. Eravamo davvero tanti, per me è stato un momento davvero prezioso. Ci siamo rafforzati nella fede, nella speranza. Chiediamo alla Madonna di accompagnarci nel pellegrinaggio della vita, soprattutto quando portiamo delle sofferenze. E non dimentichiamo che è importantissimo anche il nostro ruolo di intercessori per chi ci è attorno e ci è caro”.
Sono queste le parole conclusive che mons. Alain de Raemy, amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, consegna ai pellegrini ticinesi, il gruppo più numeroso – 550 in tutto – con cui sabato 17 maggio ha condiviso il pellegrinaggio nazionale ad Einsiedeln, organizzato per il Giubileo da un Comitato ad hoc della Conferenza dei Vescovi svizzeri congiuntamente all’Abbazia del luogo. Mons. de Raemy pronuncia queste parole dagli altoparlanti del treno, quello stesso treno speciale che, assieme ai bus, ha accompagnato i pellegrini fino al Santuario mariano al mattino. Ottima l’organizzazione anche da parte della Diocesi luganese, che ha permesso ai pellegrini di sentirsi subito a loro agio, mentre sin dai primi minuti il vescovo attraversa i vagoni per salutare uno ad uno ogni partecipante, scambiare alcune parole, condividere speranze e attese, prima della recita comune delle Lodi.
La solenne Santa Messa in Santuario
L’arrivo in Santuario è vissuto con molta emozione: è un’intera Diocesi messasi in cammino, per raggiungere il luogo mariano, ricco di fede e devozione.
In attesa della Santa Messa presieduta dai Vescovi svizzeri assieme al Nunzio mons. Martin Krebs, all’abate di Einsiedeln, Urban Federer e a decine di sacerdoti e monaci, la chiesa si riempie di pellegrini giunti da tutte le parti della Svizzera e dalle sue sei Diocesi. Si contano almeno 1'000 pellegrini, ognuno con la sua storia e ognuno con il suo motivo nel cuore per essersi messo in cammino. A loro mons. Charles Morerod, presidente della Conferenza dei Vescovi svizzeri, consegna nell’omelia un messaggio significativo, approfondendo il tema giubilare della “speranza”: «Dove si trova la speranza? Ci sono piccole differenze tra la società e la Chiesa. Le persone ci raggiungono perché vogliono la speranza.(…) Non dimentichiamoci che la prova che Dio ci ama è il fatto che sia morto per noi. L’amore che porta a ciascuno: questa è la nostra speranza.
E noi possiamo essere questa speranza per gli altri. Attraverso di noi può esserci speranza per il mondo”.
La liturgia, in più lingue, ricorda attraverso la preghiera l’importanza di essere pellegrini. Si prega affinché questo camminare assieme sia fecondo: “Dio onnipotente ed eterno, ardente desiderio del cuore umano, guarda con bontà il tuo popolo pellegrino in questo anno di grazia, perché unito a Cristo, roccia della salvezza, possa giungere nella gioia alla meta della beata speranza”. Le preghiere dei fedeli sono invece rivolte a Papa Leone XVI, affinché “in continuità con il ministero del suo predecessore Francesco, possa fortificare la Chiesa nella fede, nella comunione e nella ricerca della pace”. Quindi un pensiero alle condizioni mondiali: “Per il nostro mondo spesso segnato dall’ansia e dallo scoraggiamento: il tuo Spirito riaccenda in tutti i cuori la speranza e la fiducia nel tuo amore fedele”. Si ricorda la bellezza di rimanere uniti e saldi nella fede: “In questo tempo di grazia, tu riunisci i Tuoi figli in una sola famiglia, perché illuminati dalla Parola di vita, celebrino con gioia il mistero del tuo Figlio crocifisso e risorto”.
Un evento per nutrire la speranza
Il pranzo – il pic-nic offerto ai pellegrini sul treno – si svolge negli ampi spazi dell’Abbazia. È in tale occasione che incontriamo nuovamente mons. de Raemy: «Nella liturgia abbiamo valorizzato il multiculturalismo svizzero. È qui il bello: il fatto di mettersi in cammino, uscire, muoversi assieme in pellegrinaggio, ma “uscire” anche dalle proprie abitudini, per scoprire questo evento preparato con cura e viverlo nella semplicità, ricordandoci che è importante non rimanere da soli, isolati. Tutto ciò nutre la speranza. Il mio augurio finale, per i partecipanti, è di sapersi rifare, con la memoria, all’evento vissuto qui oggi. Sono infatti ricordi simili che nutrono la speranza. E la certezza che quando vogliamo, ce la facciamo insieme».
Assieme a mons. de Raemy, ci raccontano la loro testimonianza anche molti pellegrini. Ognuno di loro sottolinea un aspetto diverso di quanto si sta vivendo, ma l’emozione che accomuna tutti è il senso di condivisione percepito.
Pellegrini di speranza: le testimonianze
Sofia è qui con i foulard bianchi, una tra la ventina di volontari che hanno prestato servizio d’ordine durante la celebrazione, accompagnando i pellegrini ticinesi e fornendo loro assistenza. E non ha dubbi: “È stato un momento stupendo, l’occasione per ritrovarci come gruppo, ma anche per condividere l’esperienza con il Gruppo anziani di Massagno, che seguiamo da tempo. Oltretutto accompagnati del nostro Vescovo, con cui siamo già stati ad aprile per il pellegrinaggio diocesano a Roma, sempre in occasione del Giubileo. Ora abbiamo l’opportunità di vivere questo evento svizzero dopo la nomina di Papa Leone XVI, un Papa che si è dimostrato capace sin dai suoi primi gesti e dalle sue parole di profonda accoglienza. Ci ha davvero regalato in modo rinnovato serenità, e continua a regalarcela; è un Papa capace di mantenere aperta la Chiesa universale, rendendola la casa di tutti. È questa chiesa universale e “aperta” che abbiamo sentito oggi anche durante la Messa in Santuario, uniti nonostante le lingue diverse”.
La riflessione di Sofia si sofferma però anche su un altro aspetto: “Penso sia anche il momento giusto per ricordare coloro che non possono vivere questi momenti, chi sta male: la popolazione di Gaza, ad esempio, che è sotto le bombe. Su questo dramma bisognerebbe dire molto di più. I momenti di gioia sono fatti anche per pensare a questo”, conclude.
Suor Brunella, delle Suore di Santa Maria di Leuca, presta servizio presso «Ca’ Rezzonico» a Lugano e partecipa con diverse sue consorelle: «La condivisione con gli altri pellegrini ci ha fatto sentire comunità, uniti oltre le barriere culturali e linguistiche. Preghiamo lo stesso Dio, condividiamo la stessa fede. È stato molto bello vedere sacerdoti, vescovi e laici pregare assieme per un cammino di speranza comune, che è quello che ci ha lasciato Papa Francesco».
Andrea, di Preonzo, è qui con la famiglia: «Mi sono sentito di dire subito sì alla proposta del pellegrinaggio nazionale per il Giubileo. Vogliamo essere qui per ringraziare la Madonna per tutto quello che abbiamo ricevuto. Sul treno ho ritrovato molte persone che da tempo non vedevo. Per me è un percorso mariano: sono appena tornato da Fatima, oggi sono qui. È l’occasione per recuperare la dimensione della speranza, che è l’unica cosa che ti può muovere ad andare avanti: la speranza che ci dona Cristo è quello che ti mette in moto. Siamo qui anche per ricordarci questo».
Aldo, che viene con la moglie dal Sottoceneri, fa notare un aspetto particolare e caratteristico di questo pellegrinaggio: la partecipazione delle missioni, quali le missioni di lingua spagnola e italiana, nonché quelle di lingua vietnamita e filippina. «Oltre le nostre quattro lingue nazionali, si è sentita forte la loro presenza. L’orazione formulata in tailandese durante la preghiera dei fedeli mi ha molto colpito. È davvero la dimostrazione che sappiamo essere uniti. Essere pellegrini di speranza è anche questo. Accettare la diversità, accoglierla. In chiesa abbiamo avuto la testimonianza di questo».
Infine, raccogliamo anche la testimonianza di un monaco della comunità di Einsiedeln ma di radici ticinesi, padre Giustino, originario di Sonvico: «Come detto dal nostro abate, padre Urban, la nostra chiesa è sempre aperta per tutti. È un grande impegno ma dà anche molta soddisfazione. Oggi è un momento speciale. Papa Leone XVI ci ha ricordato che dobbiamo essere operatori di pace ma anche missionari. Dal mio punto di vista, credo sia fondamentale capire che dobbiamo fare missione anche in Svizzera: non dobbiamo andare lontano per far conoscere Gesù a chi ancora non lo conosce. E per questo c’è bisogno di sostegno, un incoraggiamento reciproco e molta preghiera, come ciò che abbiamo vissuto oggi».
Un’escursione meditata
Al pomeriggio sono varie le attività a cui prendere parte: l’adorazione in Santuario, un incontro con i Vescovi, le escursioni, le attività per i ragazzi. Seguiamo un gruppo numeroso – tra cui diversi ticinesi – che intraprendono una breve passeggiata meditativa guidata da mons. Lovey, vescovo di Sion. Lo scopo è meditare sulle parole della bolla di indizione del Giubileo, con alcune domande che stimolino la discussione: in che modo essere “pellegrini di speranza” nel mondo e nel contesto attuale, ma soprattutto per le categorie dei più fragili, i migranti, gli anziani, gli ammalati? Dopo qualche minuto di cammino, le prime condivisioni: chi racconta delle proprie visite nelle Case anziani e di quanto un semplice sorriso possa cambiare la vita dell’anziano e dell’ammalato, chi ancora condivide l’importanza dell’amicizia. Giunti sulla collina soprastante l’Abbazia, in uno spazio alberato, mons. Lovey invita i vari gruppi linguistici a intonare un canto mariano, uno per gruppo. Canti e melodie che si levano di fronte al bel panorama offerto dalla natura verdeggiante di Einsiedeln.










La giornata si conclude con l’affidamento a Maria e la benedizione a tutti i pellegrini, impartita dai vescovi dalla Cappella della Madonna. Il rientro, sempre in treno e bus, è scandito dalla recita dei vespri: “Signore Gesù, ti preghiamo per la nostra Chiesa ticinese: santificala nella verità, perché diffonda il tuo regno tra tutte le genti”. Si conclude così un’intensa giornata che rimarrà nella memoria a lungo, ma soprattutto che ha colmato la Chiesa ticinese, in modo rinnovato, della bella consapevolezza di essere una grande e coesa famiglia.