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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (15 dicembre 2025)
  • Di stupore e di gioia: alla Sala San Rocco uno sguardo che cura

    di Dennis Pellegrini

    Lo stupore come medicina, come atto di resistenza silenziosa di fronte al rumore, alla violenza e alla stanchezza che attraversano il nostro tempo. È attorno a questo orizzonte che si colloca la mostra fotografica Di Stupore e di Gioia, inaugurata sabato 13 dicembre presso la Sala San Rocco a Lugano, alla presenza degli autori del collettivo PhotoBar Italia e dei curatori dell’agenzia culturale ed editoriale Alla chiara fonte.

    L’esposizione prende le mosse dal celebre brano evangelico della pesca miracolosa, in cui lo stupore invade Pietro e i suoi compagni fino a trasformare radicalmente la loro vita. Non si tratta di un’emozione superficiale, ma di un’esperienza che tocca il cuore e orienta l’esistenza verso una direzione nuova, più autentica e libera. È questo stesso stupore, semplice e profondo, che i fotografi cercano di restituire attraverso immagini della realtà quotidiana, senza effetti gridati né artifici spettacolari.

    I curatori hanno sottolineato come oggi sia particolarmente difficile raccontare la positività dell’umano, immerso com’è in una narrazione costante di crisi e conflitti. Se la gioia può durare nel tempo, lo stupore è per sua natura un istante: nasce all’improvviso, quando lo sguardo riesce a posarsi sulle cose con occhi nuovi. È lo stupore che ha permesso a Newton di intuire la gravità e a Kant di riconoscere una legge morale dentro di sé; è anche lo stupore di Pietro descritto in precedenza, ma anche quello che può nascere davanti a un gesto semplice, apparentemente banale.

    In questo senso, la fotografia diventa un atto di ascolto e di accoglienza. Come ricorda Henri Cartier-Bresson, fotografare significa allineare mente, occhi e cuore: una definizione che ben descrive l’essenza degli scatti esposti, frutto di una disponibilità interiore a lasciarsi provocare dalla realtà. Lo stupore, infatti, non si produce: accade, chiede apertura, chiede presenza.

    Il percorso espositivo si articola in più sezioni e generi fotografici, lasciando spazio a rimandi visivi, cromatici ed emotivi che non pretendono di offrire risposte definitive. Anzi, la mostra si muove tra inizio e compimento, tra un “già” e un “non ancora”, evocando una nostalgia feconda che invita a non chiudere lo sguardo, ma a riaprirlo.

    Come ha ricordato Riccardo Caruso, tutto questo è stato possibile grazie all’amicizia, terreno indispensabile per coltivare lo stupore. Maria Luisa Paolillo ha infine sottolineato come la mostra nasca dal desiderio di affermare che, anche dentro le ferite del mondo, esiste una luce capace di generare vita. Lo stupore non nega il male, ma lo attraversa, custodendo la possibilità della gioia.

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