Calendario romano: Gv 3,13-17
Schiaffi e carità, il miracolo della croce
di Dante Balbo
Avevo forse 15 anni e mi portarono al Piccolo Cottolengo di Milano. Qui dovevamo imboccare le pazienti e a me toccò Carla. Apparentemente una donna adulta, che non parlava e muoveva le braccia in modo disordinato, così che colpiva sempre chi le stava davanti, mettendo in difficoltà colui che doveva nutrirla. A me il compito di ricevere gli schiaffi, per proteggere un’amica che le dava da mangiare. All’inizio mi sentivo umiliato e inutile, ma poi mi sono affezionato a Carla, come ad altri ospiti, così fragili eppure così preziosi. Fu questa la mia prima lezione vera di cristianesimo: occuparsi di chi non può nemmeno ringraziarti, vedere la bellezza dove altri notano la deformità, amare chi non ti può restituire nulla, se non la sua povertà. Questo è il senso profondo della Festa della domenica odierna, che esalta la debolezza di Dio, offerta per chi non solo non ringraziava, ma era l’artefice di questo supplizio. La Croce, strumento di morte, diventa segno della vittoria, ma in un modo così paradossale che risulta impossibile da accettare, né dalla ragione, né dalla fede. Chi razionalmente immagina un Dio che vince donandosi fino all’ultimo respiro, non per un ideale, per una battaglia contro il sistema, ma semplicemente per amore, per stare al suo posto, laddove chiunque sarebbe fuggito?
Chi può credere in un Dio sconfitto, che segna con il simbolo della morte più infamante i suoi seguaci, che ancora oggi lo imprimono sul loro corpo migliaia di volte nella loro vita? San Paolo lo dice bene nella seconda lettura: “io ritengo di non sapere nulla, se non Cristo e questi crocifisso”. Solo un amore così può frantumare la morte, perché non ha su di lui nessun potere, nessuna scusa per restargli attaccata. Gesù non è morto solo per i suoi discepoli, ma per i suoi persecutori, di quel tempo e di tutti i giorni a venire. Né io, né Carla lo sapevamo, ma in quei gesti semplici imparavo l’umiltà, la coscienza del dono gratuito, la dignità che le veniva restituita, perché non mi ero opposto ai suoi schiaffi.
Calendario ambrosiano: Gv 5, 25-36
Affidarsi a Cristo, promessa di vita eterna
di don Giuseppe Grampa
Nella pagina evangelica Gesù dice: «Non meravigliatevi di questo…». Di che cosa non dovremmo meravigliarci? Per ben due volte ripete: «Viene l’ora ed è questa in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio...viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce», la voce del Figlio di Dio. I morti ascoltano la voce del Figlio di Dio e questo non deve stupirci. E invece è stupefacente questa affermazione: la morte infatti spegne, con la vita, le parole. E invece Gesù afferma una comunicazione, appunto una sua parola rivolta ai morti e un ascolto da parte dei morti. Quella comunicazione – parole e ascolto – che non è più possibile tra noi e i nostri morti è invece possibile tra Gesù e i nostri morti. E infatti con una delle sue parole umanamente più intense e più consolanti, Gesù ha promesso: «Vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14, 2s.). Quasi a prevenire l’obiezione di chi teme non vi sia posto per tutti, Gesù afferma che «nella casa del Padre mio vi sono molti posti». Nessuno tema d’esser lasciato solo, senza un posto, senza la compagnia di Gesù. Mentre per noi la morte è un silenzio che rende vano tentare di parlare con chi è morto, per Gesù la sua voce penetra nel regno dei morti e li richiama alla vita. Ecco perché anche noi, nella preghiera possiamo entrare in questo vero anche se misterioso dialogo.
Con un tratto di singolare umanità Gesù intuisce la fatica dei discepoli, la nostra fatica a credere alla sua parola. Consapevole della sorpresa che tale affermazione può suscitare in noi, ci invita a non meravigliarci delle sue parole. E perché non dovremmo meravigliarci? Perché dovremmo credere alle sue parole? Solo perché possono sciogliere il nodo di dolore che ogni morte stringe? Solo per avere consolazione, conforto? Gesù chiede che ci fidiamo di Lui, ci affidiamo a Lui, alla sua Parola.