Calendario romano - XX Domenica del Tempo Ordinario - Lc 12,49-53
Due città, due amori
di Dante Balbo
Viviamo in un tempo singolare, in cui la diversità è apparentemente accolta, persino esaltata, ma nello stesso tempo temuta e pericolosa.
Ogni volta che qualcuno manifesta la propria identità, viene accusato di discriminare quelli che non si riconoscono in essa.
La tentazione è di adattarsi, ridurre le differenze, accogliere la verità come relativa, soggettiva, indifferente.
Qualche volta mi sono innamorato, scoprendo l'unicità, la bellezza, l'incontro con un'altra persona di cui non c'era uguale in tutto il mondo.
La realtà stessa si modificava, diventava più bella, colorata, come se fosse primavera anche in pieno inverno.
L'amore è assoluto, non ammette paragoni, coinvolge la persona intera, il tempo, il corpo, i pensieri, i progetti, le attese, le speranze.
Di questo parla il Vangelo della XX domenica del Tempo Ordinario, in cui Gesù mette i suoi ascoltatori di fronte all'amore autentico.
È un fuoco che brucia ogni certezza, mette in movimento, ci toglie dalla routine, dalla quiete dalle strade conosciute e sicure.
Qualcuno ha detto che lo Spirito santo ci dà la pace, ma non ci lascia in pace.
Gesù non è venuto a portare una nuova dottrina, un po' più saggia delle precedenti, ma una rottura, un altro pensiero, che necessariamente si scontra con la proposta del resto del mondo.
Noi non apparteniamo alla Città terrena, in essa viviamo come stranieri, pur amandola profondamente, perché prima di incontrare Gesù eravamo lontani dalla nostra stessa umanità.
Quasi ci sentiamo in colpa quando affermiamo che c'è una legge della dignità umana che ci impedisce di accettare la logica del profitto, l'insulto alla vita di aborto ed eutanasia, la disgregazione della famiglia e della comunità che genera umanità ferite e fragili.
La venuta di Gesù ci pone di fronte ad una scelta. Il Regno di Dio non è un ideale, ma il luogo della comunione e dell'amore, che possiamo vivere pienamente solo mettendolo al primo posto. Due sono le città, come due sono gli amori, ma la città terrena sarà luogo di pace solo se vivremo nel fuoco splendente della città di Dio.
Calendario ambrosiano - Domenica X dopo Pentecoste - Lc 18,24b-30
Alla povertà per scelta il dono del centuplo
di don Giuseppe Grampa
Cosa è decisivo nella vita? Salomone il grande sovrano vissuto un millennio prima di Cristo, risponde alla nostra domanda con una preghiera rivolta a Dio affinché gli conceda sapienza piuttosto che ricchezza. la pagina evangelica a sua volta si concrentra su quella sapienza che è sequela del Signore Gesù liberando il cuore e le mani dall’accumulo dei beni. Sapienza che è consapevolezza che il vero tesoro dell’esistenza non sta nell’accumulo ma nell’incondizionata dedizione al Signore e alla sua parola: è Lui il tesoro, la perla di inestimabile valore. Ricordiamo come Gesù mandi i suoi discepoli a mani vuote, ricchi solo di quel tesoro che è la sua Parola. Alla domanda cruciale che ci poniamo, «che cosa è decisivo nella vita», il Vangelo risponde con l’appello ad una scelta – sottolineo una scelta – di povertà. Se è maledizione la povertà creata dall’ingiustizia sociale è benedizione la povertà che ognuno di noi può scegliere, anzi deve scegliere se vuole essere discepolo del Signore. Se quindi la pagina evangelica non ci esonera dal compito di riconoscere le ragioni della povertà, le responsabilità e quindi le doverose riforme che assicurino maggiore equità, sempre la pagina evangelica impegna ognuno di noi ad uno stile di vita sobrio, alieno dallo spreco e dal lusso, capace di vera condivisione. Proprio la parte conclusiva dell’evangelo odierno promette a chi compie scelte di libertà dal possesso, dall’attaccamento alle cose e alle persone, il centuplo. La scelta di uno stile di vita libero dal possesso assicura una pienezza di vita, il centuplo appunto, non una mortificante miseria ma una pienezza esaltante. Questo stile di vita proposto alla libertà di ogni discepolo del Signore deve essere anche opzione preferenziale della Chiesa. Si tratta, per la Chiesa e per ogni discepolo del Signore, come ci ha dimostrato anche Papa Francesco lungo il suo pontificato, d’essere fedeli al Signore che «spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo» (Fil 2,6-7).