di don Marcin Krzemień*
La volta scorsa, abbiamo affrontato il tema di come una crisi si manifesta (vedi catt.ch del 25.09.2025). Oggi, vorrei continuare la nostra riflessione sulla crisi, domandandoci: dove nasce una crisi? Quali esperienze, vissuti o situazioni potrebbero provocare una crisi?
Certamente una delle cause potrebbe essere la mancanza di alcuni elementi chiave della vita spirituale e comunitaria. Perché una crisi si radica e trova un terreno fertile più facilmente lì, dove non c’è una comunità autentica. Cioè, quando ognuno viene lasciato solo con i suoi problemi, senza sostegno fraterno e dialogo sincero, in questa situazione una persona appassisce interiormente in modo veloce.
Invece, in una comunità sana i problemi vengono notati, condivisi e vissuti insieme. Ma, siamo onesti, in molti luoghi tale comunità non esiste. Per questa ragione, ognuno si ritira nel proprio mondo e nella comunità dei preti prevale purtroppo sempre di più la distanza o la rivalità anziché l’unità. Ce l’ha ricordato Papa Leone XIV nella sua omelia durante la Messa di apertura del capitolo generale dell’Ordine di san Agostino. “Occorre ascoltare umilmente Dio e gli altri e lavorare per l’unità: l’unità sia un oggetto irrinunciabile dei vostri sforzi, ma non solo: sia anche il criterio di verifica del vostro agire e lavorare insieme, perché ciò che unisce è da Lui, ma ciò che divide non può esserlo”.
Un’altra condizione in cui si può manifestare una crisi è lì dove la preghiera e la vita sacramentale sono state trascurate. Se il rapporto personale con il Signore passa in secondo piano e la vita quotidiana è riempita solo di attivismo e amministrazione, allora l’anima perde gradualmente il contatto con la Fonte. In questa situazione l’attivismo può tentare di placare la fame di Dio, ma in realtà, è come bere acqua salata, cioè più si fa e si agisce senza preghiera, tanto più grande sarà la sete e la stanchezza interiore.
Generalmente, in una situazione del genere, si fa avanti la tentazione della paura e dell’orgoglio. Da una parte c’è il timore di ammettere le proprie mancanze spirituali perché può essere giudicato come un segno di debolezza, e dall’altra parte l’orgoglio che sussurra all’orecchio che è inappropriato chiedere aiuto, perché “posso e devo farcelo da solo, perché sono un prete”.
Così, uno si può trovare in una spirale in cui la paura costringe a tacere sulle difficoltà, e l’orgoglio giustifica la persistenza in una lotta da solo. Si capisce bene, che entrambi questi atteggiamenti allontanano dalla verità e dal sostegno degli altri. Infine, ammettiamolo, in casi estremi e non rari, una crisi prospera dove la vita spirituale è stata intorpidita da varie dipendenze o attaccamenti, cioè lì dove l’oscurità cala nel cuore. Rimanere in questa oscurità inermi, fa sì che la coscienza rimanga sempre di più annebbiata e un senso di inadeguatezza provochi un isolamento ulteriore da Dio e dagli altri.
Purtroppo tacere su tale stato o coprirlo superficialmente con gesti di pietà, non fa che peggiorare la situazione. Infatti, delusioni inespresse, serate da solo in canonica (casa), piccoli compromessi morali, sono tutte piccole ferite che, se ignorate, possono infettare l’anima. E così, in modo inaspettato, prima o poi, una crisi irrisolta porta a un brusco crollo: o spettacolare (ad esempio, uno scandalo pubblico, l’abbandono del sacerdozio), o silenzioso e interiore: apparentemente si rimane dove si è, ma nel profondo ci si è già arresi.
A questo punto, credo che sia importante ricordare, che la crisi di un sacerdote (o di qualsiasi persona) non è solo una sua sofferenza personale. È anche il dolore dell’intera comunità, del Popolo di Dio. Perché, quando un sacerdote vive in un vuoto spirituale, come può proclamare efficacemente la Buona Novella se in effetti non la sperimenta più lui stesso nella propria vita? Anche se le sue parole possono ancora suonare giuste, ma rimangono impotenti, prive del fuoco che accende i cuori di chi lo ascolta.
Nella comunità i fedeli non sono indifferenti, riescono a percepire questo vuoto; possono sentire che il loro pastore parla della fonte di acqua viva, mentre a lui manca proprio quell’acqua viva. Si potrebbe dire, che una parrocchia del genere diventa una comunità orfana, priva di un padre spirituale. Di nuovo Cantalamessa ha detto a proposito, che quando un sacerdote si chiude nei suoi meccanismi di difesa e costruisce un muro attorno alla propria sofferenza, non è in grado di essere un padre per le persone a lui affidate, perché la paternità spirituale richiede vicinanza, tenerezza e compassione, che una persona trincerata nella propria paura e nel proprio rifiuto non può permettersi.
Allora, a questo punto sorge una legittima domanda: come potrebbe proclamare in modo credibile che Dio solleva i peccatori se lui stesso non si è mai inginocchiato e non ha mai gridato: “Signore, salvami, perché sto affondando?”. In questo modo, la crisi di un sacerdote ferisce una comunità intera, il Popolo di Dio. Ci ricorda san Paolo: se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui (1 Cor 12,26).
La parrocchia, la diocesi, l’intera comunità della Chiesa soffrono quando un sacerdote cade nell’oscurità. Semplicemente perché la testimonianza efficace di una fede viva viene allora sostituita dall’ombra del formalismo o dello scandalo. Ecco perché è così importante che tutta la comunità, preti e laici, abbiamo il coraggio di affrontare questo problema e cercare insieme la guarigione. Una crisi può toccare ciascuno!
Infine, ricordiamo che il primo passo è riconoscere che la crisi esiste e che ha il volto di persone concrete: i nostri fratelli e sorelle, e a volte noi stessi. Concludo con le parole di santa Faustina: “Solitudine, i miei momenti preferiti. Solitudine, ma sempre con Te, o Gesù e Signore. Accanto al Tuo Cuore il tempo mi passa piacevolmente e la mia anima trova il suo riposo. Quando il cuore è colmo di Te e pieno d’amore, e l’anima arde d’un fuoco puro, anche nel massimo abbandono non sente la solitudine, poiché riposa nel Tuo grembo. O solitudine, momenti della più intensa compagnia, benché abbandonata da tutte le creature, m’immergo tutta nell’oceano della Tua Divinità, e Tu ascolti dolcemente le mie confidenze”.
*sacerdote polacco nella Diocesi di Lugano
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