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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (24 settembre 2025)
CATT
  • COMMENTO

    Popolo di Dio - Sacerdote: quali sono i sintomi della crisi?

    di don Marcin Krzemień*

    Vorrei continuare l’ultima riflessione (vedi catt.ch del 10.09.2025), ma stavolta, interrogandoci: quali potrebbero essere i sintomi di una crisi? Come potremmo riconoscere i primi segnali che forse qualcosa non va? Una domanda legittima, perché come abbiamo visto la volta scorsa, guardando dal di fuori la vita di un sacerdote in crisi (non solo un sacerdote, ma chiunque, perché ciò può toccare a tutti) può sembrare impeccabile, svolgendo i suoi doveri con diligenza. Tuttavia, interiormente spesso lotta con una crescente ansia e sconforto.

    Paura, vuoto e fede che sembra morta

    In questa situazione, l’emozione (sentimento) che di solito può prevalere è la paura: la paura di essere smascherato per la propria debolezza, di deludere il Signore e gli altri; la paura del futuro e della solitudine. È veramente doloroso questo stato! Ancora di più, con il tempo, questo stato può trasformarsi in una depressione esistenziale, cioè un profondo senso di inutilità, di vuoto e di disperazione, che ovviamente non sempre raggiunge livelli clinici di depressione, ma priva la vita della gioia.

    I sacerdoti che si sono trovati in questa situazione riconoscono di sentirsi come se la loro fede fosse morta e le loro preghiere rimbalzassero contro il soffitto. Un dolore veramente opprimente, perché ogni parola che pronunciano diventa un peso perché non proviene dal cuore.

    Una vita non autentica e i meccanismi di difesa

    In questo modo, un sacerdote vive una sensazione di confusione nella quale lui stesso percepisce la sua vita come non autentica, che esteriormente soddisfa le aspettative, ma non corrisponde al suo sentimento interiore. Una situazione del genere può pesare gravemente sulla coscienza e sulla psiche.

    Di conseguenza, per poter funzionare, si ricorre spesso a vari meccanismi di difesa. E così per esempio, si può negare che non si sta accadendo qualcosa di grave, dicendosi che “insomma tutti sono così” o che si tratta solo di stanchezza temporanea. Ancora, si può razionalizzare attribuendo la propria mancanza di preghiera all’eccessivo lavoro e all’aridità del proprio cuore o dando la colpa a “parrocchiani difficili” o allo “spirito del tempo”.

    Attivismo, fughe e anestesia interiore

    A volte ci si può rifugiare nell’attivismo, riempiendo la giornata di innumerevoli compiti pastorali, intellettuali e amministrativi, solo per evitare di affrontare il proprio dolore. Ancora di più, a volte si cerca un sollievo nelle cose supplementari ad es.: alcol, mondo virtuale, intrattenimento compulsivo, insomma qualsiasi cosa che possa placare la fame interiore di significato.

    Queste fughe possono fornire una cosiddetta “anestesia” temporanea, ma a lungo tempo possono portare a un maggiore vuoto, a sensi di colpa o cinismo. Quindi, a dire la verità, più lungo dura una crisi irrisolta, più si perde la propria sensibilità di cuore, diventando così sempre più amareggiati o indifferenti.

    Il coraggio della verità e la grazia della debolezza

    A questo punto vorrei fare una precisazione per non essere frainteso. Le riflessioni fatte finora sembrano pensati e poco piacevoli. In realtà, lo scopo di questa analisi non è quello di giudicare o condannare nessuno. Al contrario, si tratta di far riflettere, di fornire gli spunti corretti per guardare la verità negli occhi con amore e coraggio. Sì, perché solo così, solo quando riconosciamo le ferite che portiamo possiamo permettere al Signore di guarirle. Ovviamente, questo richiede l’umiltà, perché purtroppo nella vita sempre di più è facile fingere di essere un “eroe spirituale” invincibile, che ammettere con franchezza “sì, ho bisogno di aiuto, qualcosa sta morendo dentro di me”.

    Eppure, paradossalmente, è proprio l’ammissione della debolezza che apre la strada alla grazia. Il card. Raniero Cantalamessa ha detto che La vita sacerdotale non è infranta dal peccato, ma dal mancato riconoscimento della verità su se stessi e su Dio. Allora, ricordiamoci, che non sono i nostri fallimenti a farci distruggere, ma la nostra fuga dalla verità.

    Ecco perché è così importante smettere di tacere sulle crisi o di trattarle come tabù. Finché nascondiamo i problemi sotto il tappeto o li intorpidiamo con una pseudo-spiritualità senza sincerità, la ferita non guarisce, anzi si aggrava. Indubbiamente, abbiamo bisogno sempre di più, di un clima di fiducia e di misericordia, di fraternità, in cui si possa dire senza paura: “sì, questo mi riguarda” e ricevere il sostegno necessario.

    Vorrei concludere anche stavolta con la stessa preghiera di san Tommaso d’Aquino:

    Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti.

    *sacerdote polacco della Diocesi di Lugano

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