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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (24 giugno 2025)
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  • COMMENTO

    Il Sacerdote nel Popolo di Dio: Crisi e rinascita dell’identità

    Nelle riflessioni precedenti ci eravamo posti due domande di partenza: quale Chiesa siamo e quale Chiesa vorremmo? Ma, dopo aver capito un po’ che cosa è la comunità della Chiesa, credo che sarebbe proficuo chiedersi ora quale sia (o dovrebbe essere) l’identità del sacerdote all’interno del Popolo di Dio.

    Sappiamo che l’identità sacerdotale è sottoposta continuamente alla prova. Infatti, uno degli effetti più dolorosi della crisi del sacerdozio è proprio la perdita di identità, cioè dimenticare chi è un sacerdote agli occhi di Dio, e a cosa è stato veramente chiamato a fare.

    C’è da notare che questa crisi è più profonda delle semplici mancanze morali o dei problemi pastorali, perché alla sua radice si trova la confusione o crisi interiore. Infatti, molte ferite nella vita del clero derivano dal fatto che il sacerdote smette di vivere il suo ministero da discepolo e da amico del Signore, per diventare un esecutore di doveri, un funzionario della Chiesa.

    Papa Benedetto XVI, nel “Gesù di Nazareth”, scrisse che la tragedia più grande del sacerdozio è la perdita della consapevolezza che si tratta di un cammino di amore, non di potere. Questo sacerdote può anche celebrare l’Eucaristia e predicare bene la Parola di Dio ogni giorno, e allo stesso tempo sentire di allontanarsi sempre di più da Dio, da ciò che predica e da sé stesso. E così, cresce nel suo cuore un vuoto, che non sarà colmato dall’ammirazione dei fedeli o da successi pastorali.

    Meccanismo di perdita d’identità

    La perdita dell’identità sacerdotale, di per sé, avviene gradualmente. Il meccanismo di questa erosione può essere descritto in diverse fasi; mi soffermo solo su quelle più diffuse:

    • Allontanamento dalla fonte della vocazione: prima si trascura un rapporto vivo con Dio. Il sacerdote cessa di trarre forza da ciò che era il fondamento della sua vocazione.

    • Routine e formalismo: qui subentra l’esecuzione meccanica dei doveri. Manca passione e impegno sincero. La liturgia può ancora essere corretta, le prediche conformi e le attività pastorali numerose, ma vengono svolte senza anima, come un attore che interpreta un ruolo.

    • Sostituzione della relazione con la funzione: qui il sacerdote inizia a credere che il valore della sua persona dipenda esclusivamente dalla funzione che svolge. Ci si dimentica di essere essenzialmente un discepolo del Signore, e che la funzione è solo un modo per servire la comunità. Benedetto XVI ammonì: il sacerdozio non è una semplice funzione da svolgere, ma un sacramento di relazione con Dio e con il Popolo di Dio.

    In una situazione del genere, la crisi d’identità è il risultato di ferite precedenti e la fonte di nuovi problemi. Un sacerdote che ha dimenticato chi è, sente una profonda mancanza di significato. Il vuoto interiore ferisce e spaventa, e nasce la tentazione di soffocarlo. Così si può entrare in una pericolosa fuga: per alcuni, un attivismo pastorale esagerato; per altri, dipendenze o comportamenti distruttivi.

    Cantalamessa osservò che senza un rapporto vivo con il Signore, anche i riti religiosi possono diventare una “droga” spirituale, sollievo momentaneo che non cura. Gregorio Magno aggiunse: un pastore che non ha incontrato Dio nel silenzio del proprio cuore, lo cercherà nelle attività, ma non lo troverà.

    Disintegrazione interna e falsi ruoli

    La mancanza di un’identità integrata può assumere forme diverse. All’esterno, si adotta un atteggiamento conforme alle aspettative: il sacerdote impeccabile e pio, oppure l’attivista instancabile. Ma entrambi sono maschere.

    Un sacerdote in crisi ha paura di guardarsi dentro. Nascono difese come negazione dei problemi, razionalizzazione, fuga nell’intellettualismo. Anche il clericalismo può diventare una difesa per non mostrare debolezza. Questo porta all’isolamento: non si chiede aiuto per non sembrare falliti, non si condividono i dubbi per non perdere autorità.

    Questa frattura tra il “sacerdote ideale” e la “persona reale” provoca tensione, frustrazione e senso di falsità. Ecco perché è cruciale affrontare questi nodi nel discernimento vocazionale.

    Riconquistare l’identità

    Il cammino di ritorno all’identità è un cammino di guarigione del cuore. Benedetto XVI affermò: non c’è guarigione senza relazione. Dio ci guarisce nella comunità della Chiesa.

    Non basta correggere i comportamenti: serve una trasformazione profonda, che riconduca il sacerdote al senso di essere figlio amato, fratello e pastore.

    Elementi chiave:

    • Ritorno alle fonti: Eucaristia e preghiera. La fedeltà non è perfezione, ma capacità di tornare sempre a Cristo.

    • Fratellanza e comunità: prima di essere pastore, il sacerdote è fratello.

    • Coraggio della verità: la guarigione comincia dove finisce la finzione. Conoscere la verità su sé stessi libera.

    • Rinnovare la propria vocazione: tornare all’amore originario. Come dice Cantalamessa, la ferita trasformata da Dio può diventare benedizione.

    Infine, la vocazione sacerdotale non è una ricompensa per i perfetti, ma un dono d’amore. Amore che Dio non revoca mai. Anche nella crisi, ogni sacerdote può pregare: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo, nonostante i miei fallimenti. Fammi essere ciò che vuoi che io sia.”

    Don Marcin KRZEMIEN

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