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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (19 marzo 2025)
Catt
  • "Quale è lo spirito di comunità della Chiesa?". Una riflessione

    Proponiamo una seconda riflessione di don Marcin Krzemien.

    La riflessione precedente (del 14 mar 2024) è stata iniziata con una domanda fondamentale, da cui non si può prescindere: che comunità della chiesa siamo? In questa cornice che guida la riflessione sulla natura della Chiesa, vorrei porre un’ulteriore domanda che sicuramente ci può fornire spunti indispensabili da considerare: quali sono le caratteristiche essenziali di una persona per poter partecipare in maniera attiva e creativa alla comunità della chiesa? Indubbiamente, ricordiamo bene i testi degli Atti degli Apostoli, soprattutto dei capitoli secondo e quarto, e delle Lettere di S. Paolo, che parlano della ricchezza dei cuori umani riuniti nelle prime comunità. Però, credo che un testo meno conosciuto, che parla molto della vita dei primi cristiani, sia la Didaché, o Insegnamento dei Dodici Apostoli, dell'inizio del II secolo.

    Quali sono, secondo la Didaché, i requisiti o le qualità fondamentali del cristiano se vuole partecipare attivamente alla comunità cristiana? La prima condizione è la preoccupazione per la sensibilità della coscienza. Poiché la comunità ecclesiale è riunita attorno al Signore, e quindi i membri di questa comunità devono essere sensibili alla Sua voce. Potremmo paragonare la coscienza a un dispositivo ricevente i segnali. Il Signore invia una parola indirizzata a ognuno di noi, ma spetta a ciascuno di noi, di dover e saper ascoltarla e adattare ad essa la propria vita. In altre parole, questa peculiarità, ci permette di creare una comunità di persone aperta alla parola di Dio, e pronta a mettere in pratica i suoi comandi. A tale proposito, l’autore dell'Insegnamento dei Dodici Apostoli richiama l’attenzione di ognuno di noi su impegnarsi sempre di più nel fare del bene ed evitare azioni malvagie.

    Il secondo aspetto riguarda al comportamento ovvero alla prospettiva etica secondo al Vangelo. Tutti vogliono fare e dare il massimo per il bene della comunità. Tale spinta è alla base dello sviluppo personale e comunitario. Però, sappiamo bene, che non c'è uguaglianza tra le persone: uno ha ricevuto due talenti, un altro dieci, e quindi le capacità di ognuno sono diverse. Di conseguenza, si crea competizione con il rischio di dividersi tra vincenti e perdenti. Invece, in una comunità cristiana, è presente un atteggiamento diverso: c’è gioia per i risultati ottenuti da tutti. Ci si rallegra delle conquiste di chi ha più talenti, e viceversa, chi ha più talenti gioisce anche dei piccoli successi di chi ha un solo talento. Quando all’interno delle comunità appare la competizione con un disprezzo vicendevole, soprattutto di chi non abbia quanto io, allora i legami della solidarietà vengono distrutti.

    La terza proprietà implica il coinvolgimento creativo, cioè la capacità di rendere grazie. Tutto abbiamo ricevuto da Dio e perciò bisogna ringraziare il Signore per quanto ricevuto, riconoscendo il valore dei suoi doni e della sua bontà. Dunque, la gratitudine è un elemento importante che suscita la gioia nella comunità. C’è un altro beneficio della gratitudine, altrettanto importante: chi sa ringraziare non cade in depressione o in tristezza, perché si rende conto che ogni giorno ha mille motivi per essere grato al buon Padre, piuttosto di essere triste. Se una persona si sofferma solo su ciò che le manca, cade facilmente nelle lamentele e nelle critiche e i suoi occhi vengono annebbiati. Insomma, il ringraziamento è una corazza spirituale e fa da scudo interiore contro la pericolosa malattia del criticismo e della tristezza.

    Un’altra condizione è l’onestà nel servizio. Le persone che riescono a riunirsi per stare e lavorare insieme in modo onesto possono partecipare alla comunità. Già dall'inizio i cristiani si sono accorti che purtroppo è possibile fare “gli affari di Cristo”, di cui alcuni se ne approfittano; per cui la Didaché ci mette in guardia da tali membri della comunità.

    Un altro aspetto riguarda al rispetto per ciò che è sacro. La domenica è il giorno del Signore, giorno della riconciliazione con se stessi, con i fratelli e con Dio; è un giorno santo, un giorno della famiglia e della comunità.

    L'ultima caratteristica secondo la Didaché, potremmo dire chi appartiene alla comunità della chiesa deve vivere nella speranza. La regola era più o meno questa: aspettarsi il peggio e sperare nel meglio. Un cristiano non si lascia sorprendere dalla sfortuna, sa che tutto ciò che gli accade, anche una situazione difficile possa diventare una situazione di grazia. Aspettatevi il peggio, ma sperate sempre nel meglio. Questo è una caratteristica importante che ha preparato i cristiani ad affrontare le difficoltà. L’autore della Didiché ci invita chiaramente a ringraziare al Signore per ogni situazione, anche la più difficile, perché si tratta del nostro bene.

    A prima vista, questi requisiti raccolti nella Didaché appaiono molto restrittivi. Ma, se li guardiamo attentamente ci rendiamo conto che si tratta di esigenze desiderate e ricercate da ciascuno di noi, che con la buona volontà, si possono realizzare. Basta solo una buona volontà! Poiché, la buona volontà fa sì che una persona smetta di lamentarsi e inizi a ringraziare. La buona volontà porta a fare un servizio onesto. La buona volontà incoraggia a migliorare la sensibilità della coscienza. Tali persone, legate al Cuore di Cristo, possono creare la comunità evangelica che è la Chiesa. Nell'antichità esistevano numerose comunità di questo tipo. All’interno di essa, non c'erano molte persone nobili o autorevoli, al contrario, era piuttosto persone semplici, ma tutte erano consapevoli che la chiesa è una, e che la loro comunità, che a volte è composta da una dozzina di persone, apparteneva ad una grande comunità della Chiesa, una comunità delle comunità.

    Impegniamoci, dunque, a scoprire sempre più pienamente questa dimensione della Chiesa, che ci aiuta ad essere meno autoreferenziali. Essa è stata dimenticata da una gran parte delle persone, ma solo in una tale comunità è possibile ritrovare se stessi. Tale comunità non travolge una persona, ma crea le opportunità per il suo sviluppo. In questa prospettiva, pare chiaro, che ogni parrocchia dovrebbe essere composta da tante piccole comunità che possano cooperare tra loro e con il sacerdote, riunendosi attorno all’altare, e nell’ascolto della Parola di Dio. Solo in queste comunità ognuno può essere se stesso e respirare lo spirito del Vangelo. Questo è l'appello del Concilio Vaticano II, ed era ed è l'appello instancabile dei Papi (Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e Francesco) affinché questa dimensione della Chiesa venga non solo riscoperta, ma anche ricostruita e vissuta all'interno della comunità, della grande Chiesa che abbraccia il mondo intero.

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