Calendario romano: Gv 13,31-33a.34-35
Un amore senza misura
di Dante Balbo*
Quando l'amore ci travolge, bambini o adolescenti, o uomini e donne maturi, accade un miracolo che è difficile da spiegare, eppure così naturale che non può essere diverso: l'amore invade il corpo, i pensieri, il tempo, i desideri, i sogni, i progetti, le fantasie, le notti, il futuro inimmaginabile senza l'altro. Tutto è più bello, più grande; siamo proiettati come in un lungo tunnel in discesa, con la vertigine del cuore in gola. Quando il Signore nel Vangelo parla ai suoi discepoli, comandando loro di amarsi come Lui li ama, è in un momento molto intimo, a poche ore dalla sua morte. Giuda è uscito, per essere strumento di questi eventi, mentre gli altri sono rimasti. In questa circostanza Gesù parla di sentimenti profondi, di gioia e tristezza, di solitudine e fedeltà. Per noi che il Maestro non lo vediamo, è difficile vivere con Lui l'esperienza di amore totale che tutti conosciamo, ma sarebbe sbagliato tradurre il suo comando di amore reciproco in una scelta solo intellettuale. L'umanità di Gesù è vera ed integrale, fisica e psicologica, spirituale ed affettiva, piena nel donarsi. Anche questo per noi è faticoso da accettare: meglio un Messia divino le cui richieste ci sorpassano infinitamente, così possiamo giustificare la nostra debolezza. La natura dell'amore è l'assoluto, il per sempre, i superlativi, le esagerazioni, come quelle di Pietro, l'apostolo entusiasta, quelle di Paolo che giudica il mondo spazzatura, quelle di moltissimi santi che hanno gettato la loro vita fra le braccia del Signore. Gli psicologi ci dicono che l'innamoramento è una malattia necessaria, ma prima o poi passa. Se così fosse, il Padre avrebbe avuto ragione milioni di volte di averne abbastanza della nostra infedeltà, Gesù non continuerebbe ad offrirsi ogni volta che celebriamo l'eucaristia, lo Spirito Santo ci avrebbe abbandonati in breve tempo.Celebrare il giubileo della speranza è permetterci di accogliere questo amore senza confini, limiti e misura, con le vertigini, pronti a saltare nell'abisso del nostro Dio innamorato. *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino
Calendario ambrosiano: Gv 13,31b-35
Nel dono della vita si compie l’alleanza
di don Giuseppe Grampa
Perché Gesù qualifica come nuovo il comandamento dell’amore vicendevole? Forse perché nel Primo Testamento, quello che siamo soliti chiamare Vecchio Testamento, non vi sarebbe il precetto dell’amore vicendevole? Il Dio degli Ebrei sarebbe il Dio severo, cattivo, duro, il Dio della giustizia, mentre il Dio cristiano sarebbe il Dio della misericordia? Contrapposizione infondata ma che è stata sostenuta da Marcione, vescovo e teologo del II sec. d.C.. Tuttavia anche l’ebraismo, fedele alla legge mosaica, conosce il comandamento dell’amore vicendevole. Ma allora perché Gesù qualifica come nuovo questo comandamento? Ci può aiutare l’uso di questo stesso aggettivo, «nuovo», che ricorre nelle parole di Gesù durante l’ultima Cena: «Questo è il mio sangue della nuova ed eterna alleanza».
C’è allora un legame tra il comandamento nuovo e il sangue della nuova alleanza. Il legame ce lo spiega Gesù stesso quando dice che non c’è amore più grande di questo: «dare la vita per…». La nuova alleanza tra Dio e l’intera umanità trova compimento nel dono della sua vita che Gesù compie per tutti, dono significato proprio dal pane spezzato e dal sangue della nuova alleanza.
E questa è la nuova alleanza dalla quale scaturisce il nuovo comandamento dell’amore vicendevole: «Amatevi come io vi ho amati».
Già domenica scorsa vi ho proposto di leggere così: «Amatevi in forza dell’amore con cui io vi ho amato». Il comandamento dell’amore vicendevole è nuovo perché ha la sua sorgente nell’amore di Gesù per noi, quando ha spalancato le sue braccia sulla croce tra cielo e terra per accogliere tutti, proprio tutti, nel suo abbraccio. Nuovo comandamento perché reso possibile dalla forza dell’amore di Cristo che ci avvolge e ci rinnova.
Una sola è dunque la novità cristiana: «Dio ha tanto amato il mondo fino a dare il suo Figlio per noi…» (Gv 3,16).