Calendario romano: Mc 10,35-45.
di Dante Balbo
La mia mamma me lo avrà ripetuto centinaia di volte, perché come tutti i bambini la differenza fra voglio e desidero è irrilevante. Il problema sorge quando questo capita agli adulti, che sulla vita hanno pretese, vorrebbero che il mondo si chinasse ai loro desideri, trattano gli altri con la medesima arroganza, fino a spingersi a considerare Dio come un servitore delle loro ambizioni. Da un certo punto di vista non possiamo biasimare i fratelli Apostoli che si rivolgono a Gesù per chiedergli nel futuro governo il posto di primo ministro e di ministro degli esteri, perché il tempo della liberazione dagli oppressori romani è vicino e i seguaci del maestro si stanno organizzando, per gestire il regno a venire. Quello che non hanno capito è che la regola del nuovo ordine non è il potere, il prestigio, l'autorità dovuta alla carica, ma il servizio. Il Messia è colui che per divenire il Salvatore passerà per il disprezzo. Per questo non predica, ma è il primo ad applicare quello che raccomanda ai suoi. Ascoltando il Vangelo di questa domenica, come gli altri dieci Apostoli anche noi ci indigniamo per la pretesa arrogante di Giacomo e Giovanni, che non solo si limitano a chiedere un posto di comando, ma quando Gesù chiede loro se siano pronti a bere il calice amaro che toccherà a lui, non hanno dubbi. Eppure siamo proprio così diversi da loro? Quante volte siamo amareggiati e frustrati perché il Signore non fa quello che gli chiediamo? Quante volte ci ricordiamo di Lui solo se siamo nei guai o abbiamo qualcosa da domandare? L'invito del Signore a diventare uomini e donne di servizio, implica un cambiamento del cuore. Possiamo servire chi consideriamo un dono di Dio, un'occasione per manifestare il nostro amore verso di Lui che tanto ci ha beneficato nella nostra vita. Come in una magia, l'erba voglio è il toccasana, ma non ci fa crescere. Dio non è un mago, ma un servo fedele per il nostro bene.
*Dalla rubrica Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube
Calendario ambrosiano: Lc 10,1-9
di Don Giuseppe Grampa
Il venti ottobre 1577 san Carlo celebrava la Dedicazione del Duomo di Milano, consacrava il magnifico edificio iniziato due secoli prima, ne faceva la dimora di Dio nel cuore della città e la casa del popolo di Dio raccolto attorno al suo Vescovo. Da allora la terza domenica di ottobre ricorda quel gesto e soprattutto il nostro essere Chiesa, ma questa appartenenza per molti è problematica, difficile. Quante volte incontro persone che mi dichiarano: «Credo in Dio, credo in Gesù, nel suo vangelo che mi affascina ma proprio non posso credere la Chiesa». In questi casi io rispondo così: io credo la Chiesa e la amo per una semplice ragione: perché ho conosciuto il vangelo solo grazie a quelle persone che nel corso della mia vita me lo hanno messo nelle mani. Credo e amo la chiesa perché io l’ho conosciuta stringendo la mano di mia madre che, bambino, mi accompagnava alla prima messa del mattino. Allora non lo capivo ma oggi sono certo che la mano della Chiesa per me era la mano di mia madre e le mani di molte altre persone che mi hanno accompagnato e sostenuto con la loro fede. Poi, adulto, ho letto queste parole del Concilio e vi ho sentito il calore di tante mani che ho stretto, il calore della mano di mia madre: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (Lumen Gentium 9). È dentro a questo popolo, dentro a questa Chiesa ambrosiana che le parole della fede sono arrivate fino a me e per questo io non potrò mai separarmi da questo popolo, con le sue luci e le sue ombre, la sua bellezza e le sue miserie. Mi torna spesso alla mente una parola di don Lorenzo Milani, prete fiorentino che molto soffrì per l’incomprensione da parte delle guide della sua Chiesa. Era solito dire: «La chiesa è nostra madre e se uno ha una madre brutta che importa? È sempre sua madre». Nonostante tutto è bello stare nella Chiesa, è grazia che mette sulle nostre labbra la parola della riconoscenza.
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)
Oggi, mercoledì 18 dicembre, alle 20.30, padre Francesco Patton ofm, sarà in Ticino per un incontro dal titolo "Il coraggio della pace. Riflessioni su dialogo, riconciliazione e speranza (quando tutto sembra perduto)". Modera Andrea Fazioli