XVII Domenica del Tempo Ordinario: Lc 11,1-13
Sfidare il Signore come in un mercato arabo
di Dante Balbo*
I nostri vecchi avevano ancora questa cultura, contrattare sempre il prezzo di un oggetto, di frutta, di vestiti, di qualsiasi cosa.
Ricordo mio padre a discutere con gli ambulanti per comprare un accendino, un quadretto, un piccolo utensile.
Non era un'offesa per loro, anzi, si divertivano come lui a proporre prezzi impossibili, contrastati da cifre altrettanto ridicole, per poi incontrarsi a un po' meno di metà strada.
Abramo nella prima lettura della XVII domenica del Tempo Ordinario si ritrova in uno scenario simile, ma in gioco c'è il destino di due città, che da quel giorno sono diventate simbolo di depravazione e di scandalo.
Non riesce a salvarle, perché nemmeno 10 giusti vi abitano e i pochi che restano vengono invitati a fuggire.
Abramo tuttavia è figura, segno di chi si pone come barriera contro la giusta ira di Dio, chiedendo che la misericordia prevalga sulla giustizia.
Sarà Gesù, unico vero giusto, a conquistare, dall'alto della croce, fra cielo e terra, la benevolenza del padre per tutti noi.
Non si tratta di espiazione, di pagare un prezzo per placare la collera divina, ma di fedeltà ad una promessa: dare la vita per i propri amici.
Gesù, un uomo fragile come noi, costretto a misurarsi con il male insensato, la banalità di una violenza senza scopo, resta inflessibile nella logica del dono smisurato, dell'amore senza tornaconto, della misericordia gratuita. Per questo paga il prezzo più alto.
Abramo contratta, il Messia no: solo una volta chiede se questa sia l'unica strada e, senza indugio, la percorre fino in fondo.
Noi, con un pensiero economico, riteniamo che Gesù abbia corrisposto al Padre il nostro riscatto. Non è vero: Dio stesso ha saldato il prezzo più alto possibile, lasciando che il proprio Figlio si offrisse, senza imporre la sua potenza, pretendere nulla da noi, quando ancora eravamo lontani, incapaci anche solo di capire cosa stava realmente accadendo.
Non solo si sono salvate due città, ma il mondo intero, perché nel mercato dell'amore Dio non contratta, offre sé stesso, gratis.
VII domenica dopo Pentecoste: Gv 6, 59-69
di don Giuseppe Grampa
Eucaristia: linguaggio duro, parola di vita eterna
L'evangelo di questa domenica ci riferisce la reazione della gente e di molti discepoli alle parole dette da Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Una reazione di rifiuto.
Ma che cosa aveva detto Gesù di tanto urtante da provocare il rifiuto dei suoi ascoltatori che dicono: "Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?".
Parole dure aveva pronunciato, così dure da determinare una vera e propria reazione di rigetto fino ad abbandonare Gesù: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui". Siamo di fronte ad una vera e propria crisi di fiducia nei confronti del Maestro. Attorno a Gesù si fa il vuoto.
Ma che cosa aveva detto?
Aveva promesso di dare se stesso, la sua carne e il suo sangue come nutrimento e bevanda. E infatti gli ascoltatori si chiedono: "Ma come può costui darci la sua carne da mangiare?"
La gente ha capito bene e volta le spalle a Gesù che non fa nulla per trattenerli, non dà una interpretazione più tranquilla, anzi sembra invitare i discepoli ad andarsene se non sono pronti ad accogliere le sue parole, la sua sconvolgente promessa.
Sarà Pietro, voce degli altri discepoli, a dire ancora una volta l'incondizionata adesione al Maestro e alle sue parole.
Mi chiedo, infine, perché era così urtante il linguaggio di Gesù, la sua promessa di dare se stesso come cibo e bevanda? Non dobbiamo dimenticare che i suoi ascoltatori avevano di Dio una nozione tanto elevata da non poter nemmeno pronunciare il suo nome, impossibile tentare di raffigurarlo, sarebbe stato un gesto idolatrico. Impossibile per l'animo ebraico congiungere il Dio altissimo e invisibile per l'occhio umano, con un modesto pezzo di pane. Vi è in questo rifiuto da parte degli ascoltatori di Gesù un valore che dobbiamo raccogliere: il pane che riceviamo sul palmo della nostra mano rispondendo Amen, piccola parola che è grande atto di fede nella presenza del Corpo del Signore, non è una cosa, per quanto sacra e preziosa, non è una cosa di cui possiamo disporre, è la sua presenza, è il gesto di mettersi ancora una volta nelle nostre mani. Linguaggio duro per le pretese della nostra intelligenza, eppure, ripetiamo con Pietro, parola di vita eterna.