Lc 6,17.20-26 / VI Domenica del Tempo ordinario
di Dante Balbo*
Sono venuto in Svizzera ormai 40 anni fa; abbiamo scelto di trasferirci, perché qui avevamo una comunità, degli amici, qualcuno con cui condividere sogni, passioni, fede. Avrei potuto restare nella mia città: avevo un lavoro sicuro, amici con cui avevo camminato, ma che non appartenevano al mio stesso percorso di fede. Li ricordo ancora con affetto, ma ho dovuto scegliere. La mia vita è cambiata: forse non sarei diventato diacono, realizzando la mia vocazione anche nel lavoro in Caritas Ticino, oggi non studierei ancora. Quello che la Scrittura sottolinea in questa VI domenica del Tempo ordinario è proprio che le nostre scelte non sono indifferenti, che ci sono svolte che non ci permettono di ritornare sui nostri passi. Mentre vi sono alcune decisioni che ci orientano verso progetti e strade egualmente buone, ci sono scelte che ci condizionano verso il bene o il male. Oggi questo non si può dire, perché tutto è relativo, la verità è soggettiva, ogni posizione è valida, ogni orientamento è accettabile. La Parola di Dio ci mette in guardia, non per condannare, ma per salvare, per avvertire che ci sono strade che portano alla rovina. Dio è venuto sulla terra per ricordarci con la sua stessa vita che confidare in Lui è l'unica strada che salva. Lo constatiamo tutti i giorni, l'uomo è creatura fragile, la sua gloria oggi rifulge e domani è cenere, le sue realizzazioni grandiose si frantumano come vasi di creta. Lo verifichiamo nella nostra stessa vita: inseguiamo passioni che si sciolgono come neve al sole, abbracciamo ideali che ci deludono, ci fidiamo di persone che tradiscono le nostre aspettative. Non così, dice il profeta Geremia, per chi confida nel Signore, non sarà mai deluso. La sua vita non sarà migliore di quella degli altri, avrà lutti, sconfitte, pianto e amarezza, ma nel fondo del suo cuore rimarrà la certezza che nelle mani del Signore tutto questo sarà trasformato in bene, se non ora, nella comunione definitiva accanto a Lui. Così è stato per Gesù, così per chi ha scelto di seguirlo. *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino
Lc 17, 11-19 / VI Domenica dopo l’Epifania
di don Giuseppe Grampa
Nel viaggio verso Gerusalemme, Gesù sceglie di passare attraverso il territorio dei Samaritani, terra non ospitale per i Giudei. Quando aveva inviato i suoi discepoli associandoli alla sua missione, aveva loro ordinato di non entrare nelle città dei Samaritani (Mt 10,5). L’incontro, a distanza, con i dieci lebbrosi si colloca proprio in terra samaritana. Anche in questo caso, come nella pagina di domenica scorsa, basta una parola di Gesù perchè i dieci siano guariti. Fin qui solo un gesto di guarigione: Gesù ne ha compiuti tanti. Ma qui c’è una conclusione fortemente provocatoria. Dei dieci guariti uno solo torna indietro per ringraziare il suo guaritore e Luca annota, provocatoriamente: «era un Samaritano». Gesù stesso osserva che solo uno straniero aveva sentito il bisogno di ringraziare.
Due conclusioni da questa pagina che ho detto provocatoria. Ringraziare è consapevolezza di quanto dobbiamo esser riconoscenti verso quanti, e non sono pochi, ci aiutano ad essere noi stessi. Quello che siamo, a cominciare dal dono della vita, lo dobbiamo ad altri. Impariamo allora a dar voce, frequente, alla gratitudine. E’ un modo per riconoscere che proprio grazie ad altri siamo quelli che siamo.
La seconda conclusione è meno tranquilla, soprattutto in questi nostri anni che ci mettono ogni giorno di fronte agli stranieri sempre più vicini al nostro vivere quotidiano. Proprio uno straniero, un Samaritano, è modello di gratitudine. In tutto questo c’è, lo ripeto, una forte carica di provocazione per noi che, troppe volte, consideriamo lo straniero come un potenziale pericolo, o quanto meno lo guardiamo con diffidenza. Ma se anche in lui, come non raramente accade, brilla un lampo di gratitudine e di umanità vuol dire che dobbiamo arginare il pregiudizio che istintivamente genera spesso ostilità e rifiuto. Impariamo, almeno, a non fare d’ogni erba un fascio. Nel fascio d’erba non c’è solo zizzania, ci può essere anche buon grano.
L'operazione editoriale è firmata da don Arturo Cattaneo e mons. Graziano Borgonovo, con una nuova Prefazione di Rino Fisichella.
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