Calendario Romano VII Domenica del Tempo ordinario
di Dante Balbo*
Sono cieco dalla nascita, non so cosa sia il colore, la grande distanza, il cielo quando le nuvole al tramonto si inseguono quasi giocose. I volti spesso sono stereotipi e conta il tocco, la morbidezza della voce, il profumo di un vestito pulito, la risata contagiosa. Qualche volta ho pensato: «Perché a me? Perché devo fare il doppio di fatica per leggere un libro, per imparare una strada, riconoscere uno che mi saluta?». Non vale dirsi che c'è chi sta peggio, né che oggi siamo fortunati perché la tecnologia ci assiste. Ho dovuto fare un percorso lungo e mai concluso del tutto, per riconoscere che la presenza di Dio non è in quello che mi manca, ma nei molti doni che mi sono stati dati e sarei ipocrita se non li riconoscessi. Crescendo in età ho scoperto che se questo è accaduto a me, è vero per tutti e allora il mio «sguardo» sugli altri è cambiato. Non è diminuito il senso di ingiustizia, ma è aumentato il livello di gratitudine che rende possibile un animo misericordioso. Questo è quanto richiede Gesù continuando il discorso delle beatitudini secondo Luca, stravolgendo la mentalità di allora come quella di oggi. La misericordia vince sempre: alla fine non sono le cose che contano, nemmeno i limiti che ci vengono imposti da quelli che ci vogliono male, perché la ricchezza di Dio è più grande, il dono è sempre più importante. Spesso chi ci perseguita è triste, amareggiato, illuso di manifestare un potere che non ha. La giustizia è centrale nella vita sociale, non può essere negata da una sottomissione rassegnata. I santi si sono battuti per essa e hanno tuonato contro chi si comportava in modo ingiusto e feriva il cuore e il corpo degli ultimi. I poveri hanno dei diritti e guai a non difenderli, ma nello stesso tempo è importante riflettere su quello che conta davvero e sul fatto che il perdono e la misericordia liberano prima di tutto chi li esercita. Caro Dio, non smetterò di sperare di vedere gli occhi delle mie figlie, ma ti perdono, perché forse se avessi visto, non avrei imparato la gratitudine e la compassione.
*Il Respiro spirituale, Caritas Ticino
Calendario ambrosiano Domenica «della divina clemenza»
di don Giuseppe Grampa
L’evangelo di questa domenica unisce due scene che hanno un elemento comune, provocatorio: Gesù sta bene in compagnia con gente che i suoi contemporanei disprezzavano. Si tratta dei pubblicani. Con questo nome venivano designati, allora, gli esattori delle tasse. Già esigere il pagamento delle tasse non è mestiere che attiri simpatia su chi lo svolge, se poi le tasse vengono raccolte per Roma, potenza nemica, allora l’avversione diventa ostilità. E ultimo ma non meno importante dettaglio: spesso questa raccolta delle tasse era occasione di soprusi e frodi. Ed ecco che proprio tra i pubblicani Gesù sceglie uno dei suoi discepoli, Levi, anzi lo chiama proprio mentre è seduto al banco della riscossione delle tasse. Gesù chiama là dove l’uomo si trova, intento al suo lavoro: la vita quotidiana è lo spazio della vocazione, non dobbiamo estraniarci da essa se vogliamo esser raggiunti dalla voce del Signore che vuole avere bisogno di noi.
Dopo questa prima provocazione, una seconda: Gesù accetta l’invito alla tavola di Levi e si ritrova tra i suoi colleghi, pubblicani come lui, gente poco raccomandabile. E infatti i benpensanti, dottori della legge e farisei, criticano questa convivialità di Gesù con i peccatori. Danno voce ad una opinione che troverà seguito nei primi secoli di vita della Chiesa, opinione secondo la quale la Chiesa doveva comprendere nel suo grembo solo «puri e duri» escludendo i peccatori, in particolare coloro che nel turbine delle persecuzioni avevano vacillato. «Catari» si chiamavano questi rigoristi e questo termine, greco, vuol dire «puro». La Chiesa delle origini reagì a questa opinione, persuasa d’essere quel campo nel quale crescono insieme buon grano e zizzania. E nella preghiera che il Signore ci ha insegnato non riconosciamo forse i nostri debiti? Davanti a Dio siamo sempre debitori e la Chiesa è santa e insieme sempre bisognosa di conversione e riforma, perché è Chiesa dei peccatori.
L'operazione editoriale è firmata da don Arturo Cattaneo e mons. Graziano Borgonovo, con una nuova Prefazione di Rino Fisichella.
Il porporato austriaco - insigne teologo e collaboratore dei recenti pontefici - rivisita la santità di Giovanni Paolo II a 20 anni dalla morte e ci offre una testimonianza diretta dell'amicizia e stima che legava il papa polacco e lo scomparso vescovo di Lugano.
Dopo la scomparsa del fondatore, Silvia Scalisi racconta i progetti della Fondazione.