di Lara Allegri*
In occasione della IV Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, Papa Francesco incentra in suo messaggio sul tema della solitudine.
Il tema della solitudine delle persone anziane è quanto mai attuale nella nostra società. Secondo «Pro Senectute Svizzera», nella nostra nazione 160’000 persone sopra i 62 anni soffrono di solitudine. Solitudine che va riconosciuta in quell’isolamento sociale che crea sofferenza, che non si è scelto. Impossibilitati a condividere con gli altri, esclusi dalla vita sociale per motivi vari, fra questi la perdita del ruolo sociale con il pensionamento, ma spesso causata dall’apparire di fragilità sul piano fisico e/o cognitivo. La persona si trova così chiusa all’interno delle mura domestiche, con il rischio di sperimentare una sensazione di inutilità e richiudersi in sé stessa. Troppo spesso, scrive il Papa, «la solitudine è l’amara compagnia di noi, anziani e nonni». Voglio ricordare in questa occasione le «mie» nonne, che sono state un enorme dono e motivo di crescita per me e i miei figli. Alla nonna Rita riconosco di avermi insegnato la fedeltà. Nei miei ricordi di bambina era la nonna un po’ matta, coi capelli rossi, l’immancabile rossetto e le unghie smaltate. Sempre con le zeppe e la gonna dai colori accesi. Quando mio nonno si ammalò e fu ricoverato, lei non mancò un giorno di visita. Quando lui divenne confuso, lei continuò a visitarlo. Arrivarono i giorni della casa anziani e anche lì la nonna fu sempre presente. Sopraggiunse il decesso, e lei non mancò un giorno di andare a trovarlo al cimitero e raccontargli la sua giornata. Poi sopraggiunse la demenza. Io non cessai di andare a trovarla, fedelmente tornai come lei mi aveva insegnato. Il fatto che non mi riconoscesse più non era importante, perché io ricordavo anche per lei. L’altra nonna invece l’ho adottata (si, i nonni si possono adottare!), era la nonna di mio marito. Da lei ho imparato cos’è una famiglia. Madre di 4 figli e nonna (e bis) di una schiera di nipoti e pro-nipoti, aveva tempo per ciascuno e voleva essere informata di ognuno. La sua porta è sempre stata aperta. A Capodanno non si mancava mai la visita alla nonna che ad ogni nipote ripeteva il «bondì, bon ann, la bona man», dando un piccolo regalino. Con gli anni che avanzavano e il numero dei nipoti che aumentava, il dono si era ridotto un po’ e lei se ne scusava. Fu bello sentire i suoi nipoti rispondere che non era un problema, loro andavano per lei. Ormai ultranovantenne la malattia l’ha costretta in casa; i figli erano soliti radunarsi da lei tutte le sere, per darle la buona notte. Tempo prezioso per condividere la giornata, tempo di famiglia. Un enorme insegnamento che chi hanno dato, e non scorderò mai, questi anziani che erano madre e figli. «Nella vecchiaia non abbandonarmi» cita il Salmo 71,9. A noi di esser vicini ai nostri anziani, riconoscendone il valore oltre l’età e la malattia subentrante. Non si dica che la vecchiaia è spazio di morte, si tratta di un prezioso spazio di esistenza che va riempito di presenza.
*infermiera in Cure Palliative e consulente Alzheimer Grigioni e Pro Senectute
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