“Cristiani in Terra Santa: un altro Natale senza pace?” era il titolo della conferenza stampa online organizzata da “Aiuto alla chiesa che soffre internazionale” (ACN) durante la quale il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha parlato della situazione dei cristiani in Medio Oriente che presto trascorreranno il secondo Natale in una situazione drammatica di guerra e profonda crisi.
In questo tempo di guerra, come hanno sottolineato le rappresentanti di ACN all’inizio della conferenza - la presidente esecutiva, Regina Lynch, e la responsabile dell’ufficio stampa, Maria Lozano - grazie al sostegno dei suoi benefattori, “Aiuto alla Chiesa che soffre” è riuscita a donare più di 1,2 milioni di euro in aiuti di emergenza ai cristiani, in particolare in Cisgiordania e Gaza, proprio come risposta alla grave crisi. “La missione di ACN, non è però solamente quella di fornire sostegno materiale ai cristiani di Terra Santa, ma è soprattutto quella di pregare per loro e dare loro voce, oltre che promuovere la riconciliazione e la pace tra i gruppi religiosi ed etnici".
Nel contesto così delicato della Terra Santa e dei paesi circostanti, il Patriarcato di Gerusalemme svolge un ruolo estremamente importante, prendendosi cura di molte comunità. L'evento del 7 ottobre ha cambiato tutta la situazione e la vita è diventata ancora più difficile e molto diversa anche per i cristiani in Terra Santa che rappresentano una comunità piccola – si tratta dell1,5% della popolazione – ma che, “non per questo sono una Chiesa morente, ma viva – come ha ricordato il card. Pizzaballa -. E lo è perché ancorata alla speranza che risiede in Cristo che si realizza nelle tante opere straordinarie che moltissimi qui fanno gli uni per gli altri”. Dei gesti che probabilmente non serviranno a cambiare gli aspetti macro-politici, ma che “offrono un enorme contributo nel piccolo a cambiare le situazioni che ci stanno vicino”. Non è poco, in una regione nella quale “ormai è diventato quasi impossibile riuscire a parlarsi, mentre anche il dialogo interreligioso è vinto dalla diffidenza reciproca”. In questo contesto ciò che i cristiani possono fare è proprio “impegnarsi per riattivare queste relazioni, sarà una delle grandi missioni per il futuro”.
Il 7 ottobre 2023 rappresenta per il Medio Oriente un vero punto di svolta, tanto che, come ha spiegato il cardiale, “esiste un prima e un dopo il 7 ottobre. Si tratta di un conflitto che sta avendo un impatto enorme sulle coscienze e sul modo di pensare: è un trauma per gli israeliani, che non si sono sentiti più sicuri a casa propria e sentono di aver rivissuto la tragedia della Shoah; e lo è per i palestinesi, che ritengono di vivere in questi mesi una nuova Nakba”.
A Gaza la situazione è drammatica: “quasi nessuno lavora più e il 90% delle persone è sfollato. Si vive nell’emergenza, e non mancano solo cibo e medicinali, ma anche l’educazione scolastica. È una situazione economico-sociale vicina al collasso che tocca anche le terre cisgiordane della Palestina, che vivono grazie ai pellegrinaggi e al turismo religioso, oggi totalmente fermi”.
La comunità cristiana si sente sola in questo momento? Hanno chiesto i giornalisti al patriarca. “Dal punto di vista politico, sì, c’è questa percezione – ha risposto Pizzaballa -, se non altro perché non c’è un’entità politica che ci supporti semplicemente come cristiani, ma neppure le grandi ong o le Nazioni Unite vedono i cristiani se non come semplice minoranza”. Ma la grande comunità cristiana ha saputo mostrare “la sua solidarietà, un sentimento che spesso si esprime anche nei rapporti con i membri delle altre religioni”. Anche in questo tempo così faticoso, la comunità cristiana è tra le poche “a poter portare gli aiuti all’interno delle aree di guerra di Gaza, perché la nostra comunità vive sul territorio, conosce gli interlocutori, sa come operare ed è in grado di costruire network di solidarietà molto efficienti”. Intanto, la comunità si sta preparando a vivere un Natale che sia il più normale e gioioso possibile “fatto di preghiere, di cibo e di regali per i bambini”.
I cristiani stanno vivendo una situazione drammatica anche in Siria, in particolare ad Aleppo, dove la popolazione è sempre più schiacciata dagli enormi problemi che affliggono il paese, primo tra tutti la grave inflazione che ha portato i prezzi alle stelle: “dovremmo cercare di aiutare coloro che decideranno di rimanere nel Paese – ha affermato il presule -, così come a Gaza e in Palestina, perché la Terra Santa è la terra della rivelazione e la nostra fede è una fede storica: significa che la presenza delle nostre comunità lì vivifica la storicità della nostra fede”.
Infine, sulla prospettiva di una tregua tra Israele e Hamas nella Striscia, il cardinale è convinto che “il picco della guerra sia alle spalle" e che, quindi, si possa "coltivare la speranza che il cessate-il-fuoco in Libano abbia un contraccolpo positivo pure su Gaza”. Anche se “la fine delle operazioni militari non è la fine del conflitto, per la quale ci sarà bisogno di trovare una soluzione politica duratura e solida”.
Papa Francesco continua a portare il suo sostegno attraverso la preghiera ma anche attraverso le telefonate che la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza quotidianamente riceve. “Abbiamo bisogno della forza della preghiera, perché la preghiera cambia le situazioni e trasforma i cuori”, afferma infine il patriarca.
(SG)
Forti le parole del leader della Chiesa greco ortodossa di Antiochia, vero e proprio «manifesto» delle attese di tanti cristiani siriani
Il messaggio lancia un appello per la liberazione “degli ostaggi, dei prigionieri, il ritorno dei senzatetto e degli sfollati, la cura dei malati e dei feriti, il ripristino delle proprietà sequestrate o minacciate e la ricostruzione di tutte le strutture civili che sono state danneggiate o distrutte”.
Oggi, 12 dicembre, è la sua festa. La testimonianza di quanto la purezza del cuore possa far fiorire nel mondo la bellezza.