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  • La «vera storia» del Requiem di Verdi: una riconciliazione in musica. Intervista a Matteo Marni

    La «vera storia» del Requiem di Verdi: una riconciliazione in musica. Intervista a Matteo Marni

    di Laura Quadri

    La "vera storia" del Requiem di Verdi, di Matteo MarniLa "vera storia" del Requiem di Verdi, di Matteo Marni

    «Ho trovato un pubblico numeroso alle prime presentazioni librarie in Ticino. Essendo un tema dall’apparenza strettamente milanese, mi ha favorevolmente stupito». È con riconoscenza che Matteo Marni, ricercatore dell’Università Cattolica di Milano, ci racconta del successo ottenuto dal suo ultimo libro, «La vera storia del Requiem di Verdi», edito da Giampiero Casagrande. Un libro che riscontra il favore del pubblico forse proprio per il suo messaggio principale: riuscire a fare della musica e dell’arte, in tempi attraversati da forti conflitti politici, un veicolo di riconciliazione. È infatti il 22 maggio 1874, quando nella chiesa milanese di S. Marco, si esegue per la prima volta il Requiem di Verdi. Una partitura che non è solo una delle vette insuperate nel repertorio sacro occidentale, ma anche il risultato di un meticoloso lavorio diplomatico volto ad ottenere, conclusa la fase militante del Risorgimento, la conciliazione fra la Chiesa di Papa Pio IX e il neonato Stato sabaudo. Una storia oggi ricostruita con passione e nel dettaglio, come emerge nel dialogo con chi l’ha riscoperta.

    Matteo Marni, perché la «vera storia» del Requiem?

    «La natura del Requiem di Verdi, le intenzioni di chi l’ha voluto, il contesto della prima esecuzione e le conseguenze che questa ha avuto sul piano politico, storico e religioso sono state oggetto di numerosi fraintendimenti. Risalendo all’oggettività imparziale delle fonti coeve è stato possibile fare chiarezza e ricostruire la “vera storia” di questa partitura per quello che realmente è stata, nei 150 anni dalla prima esecuzione».

    Cosa l'ha persuasa a intraprendere personalmente questa ricerca?
    «La ricorrenza dei 150 anni dalla prima esecuzione mi ha spinto a cercare testimonianze di prima mano nell’archivio della chiesa milanese di S. Marco con l’intento di restituire la verità storica di una iniziativa memorabile. L’allargamento dello sguardo al contesto, ai protagonisti e ai protagonismi è stata una naturale conseguenza».

    A proposito di questa «storia», il Requiem, soprattutto dopo la sua analisi, è stato definito «una vicenda musicologica, politica e religiosa». Può spiegarci meglio questo aspetto?

    «Il Requiem fu composto per essere eseguito nella messa di suffragio per il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. Così il più grande patriota cattolico del tempo viene celebrato da un patriota laico, per alcuni, come è stato impropriamente definito Verdi, addirittura “anticlericale”. Per capire la portata di questo fatto, la questione storica è imprescindibile. Sostanzialmente abbiamo avuto un Risorgimento che mirava all’unità nazionale di tutti i territori della penisola, compresa Roma e lo Stato pontificio, sebbene il papato volesse mantenere il proprio potere temporale relativamente alle proprie conquiste territoriali. Quando, nel ’59, è ricomposta l’unità della Penisola, Roma e lo Stato pontificio ne rimangono esclusi. I Savoia, promotori dell’unità, accedono anche a Roma solo dieci anni dopo, nel 1871. Come qualsiasi opera d’arte, anche il Requiem riflette la temperie culturale del momento storico in cui è stato prodotto. Verdi e Manzoni furono soggetto e oggetto di una celebrazione che ebbe una funzione al contempo laica, per ricordare il patriota e padre della lingua italiana, e religiosa con la presidenza di mons. Giuseppe Calvi, prevosto del capitolo del Duomo di Milano, sull’altare di S. Marco. Una commemorazione laica, magari nella forma di un’elegia teatrale, sarebbe stata più semplice. Verdi sorprende tutti ed elabora un suffragio da eseguire in chiesa, cercando di mostrare la complementarietà dei due visioni di Risorgimento, ecclesiastico e laico».

    Quando il Requiem viene composto, quali cambiamenti stavano innovando la musica sacra e come era concepito il suo apporto alla liturgia?
    «
    Semplicisticamente si dice che nelle chiese dell’Italia ottocentesca si sentiva l’opera o qualcosa che le somigliava. La partitura di Verdi sublima una concezione militante della musica sacra che si è alimentata della cultura risorgimentale adottando, anche in chiesa, il linguaggio musicale più espressivo ed aggiornato. Questa componente fu fieramente avversata dalla lettura della storia della musica sacra che nel Novecento fecero i fautori della riforma ceciliana, etichettando un’epoca straordinaria per vitalità e diffusione endemica del fenomeno come periodo di decadenza».

    Il Requiem può alludere anche alla religiosità di Verdi?

    «Verdi ha partecipato appieno al Risorgimento italiano, in anni come detto molto delicati, in cui un certo patriottismo vedeva nel Papa un ostacolo per l’unificazione nazionale. Di formazione cattolica, egli diviene tuttavia anticlericale per convenienza. L’idea di scrivere un Requiem viene da Verdi stesso. Nessuno glielo suggerisce o glielo chiede. Riscopre così una fede che aveva da bambino e nei suoi primi incarichi di musicista di chiesa. Per questo le fonti e i biografi concordano nell’individuare nel Requiem la causa che ha fatto riaccendere in Verdi una fede mai abbandonata».

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