di don Carlo Vassalli*
25 anni fa ero pronto per partire per Roma. Nel grande Giubileo del 2000, l’attesa dei giovani per la GMG era tanta, e anche dal Ticino eravamo partiti in trecento. Un grande evento, anche per giovanissimi come me — avevo solo 16 anni. Ricordo l’emozione di quel pellegrinaggio, l’energia dei canti, la gioia dell’incontro con giovani di ogni nazione, ma soprattutto il senso profondo di appartenenza a una Chiesa viva, giovane, in cammino.
Dopo 25 anni, tante cose sono cambiate, oltre all’età che inevitabilmente è avanzata. La Chiesa stessa è cambiata: è una Chiesa in movimento, che ha saputo mettersi in discussione, aggiornare il linguaggio pastorale, leggere i segni dei tempi e, in certi casi, cambiare prospettiva. Anche i giovani sono cambiati: hanno un’altra visione della vita, diversa da quella dell’inizio millennio, forse più consapevole, sicuramente più sfidata dalle incertezze del presente.
Viviamo in un mondo in continuo mutamento, segnato da crisi globali, nuove tecnologie, fragilità sociali e spirituali. Eppure, dentro questo contesto così complesso, la sete di senso non si è spenta.
Anzi. Tornare a Roma, o andarci per la prima volta, sarà per tanti un’esperienza irripetibile. L’esperienza del «Giubileo dei Giovani» acquisterà un significato ancora più profondo: sarà una tappa straordinaria nel cammino personale e comunitario della fede. Il Giubileo, per definizione, è tempo di grazia, di riconciliazione, di Speranza. E lo è soprattutto per i giovani, che sono chiamati ad essere protagonisti del futuro. In milioni ci ritroveremo a Roma per vivere e mettere in moto la fede, per cercare insieme risposte, per scoprire o riscoprire un Dio che non smette di camminare con noi. L’itinerario verso questo evento può essere tracciato da alcune parole-chiave.
Tre parole-chiave; unità, memoria, speranza
La prima è unità. Sentirci parte di un popolo grande e variegato ci farà comprendere meglio che «essere Chiesa» non è solo questione di appartenenza formale, ma esperienza profonda e comunitaria, uniti «sotto la stessa luce, sotto la sua croce» . È respirare insieme, avere uno stesso battito interiore, accogliere la diversità come ricchezza, vivere l’incontro con Gesù. Questo evento globale ci darà ossigeno per credere di più, per vivere con più coraggio, per testimoniare una fede concreta nel Risorto, che cambia davvero la vita.
Un’altra parola è memoria. Il Giubileo ci invita a fare memoria, ma non in senso nostalgico. Non si tratta solo di ricordare i tempi passati, bensì di riscoprire come Dio agisce dentro la nostra storia, nelle pieghe della quotidianità, nei volti che incontriamo, nei gesti di cura, nelle parole scambiate con chi ci cammina accanto. Memoria è radicarsi nel bene ricevuto per diventare a nostra volta semi di bene.
Infine, non può mancare la parola Speranza. È la Speranza che si rinnova, che prende forma in una generazione che nonostante tutto sogna, si interroga, cammina. Una Speranza che non viene da noi, ma ci è affidata, come dono e responsabilità. Roma sarà allora non solo una meta, ma un nuovo inizio. Un punto da cui ripartire con occhi nuovi, con cuore più aperto, con fede rinnovata.
*assistente Pastorale giovanile diocesi Lugano