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  • Lo sguardo sulle risorse non più sui limiti della persona, il giusto passo verso la vera inclusione

    Lo sguardo sulle risorse non più sui limiti della persona, il giusto passo verso la vera inclusione

    di Silvia Guggiari

    «La disabilità è un fatto. L’inclusione è una scelta», è stato questo uno dei motti pronunciati a conclusione del primo G7 dedicato alla disabilità e all’inclusione che si è svolto dal 14 al 16 ottobre in Umbria e che si è concluso con la ratifica della Carta di Solfagnano da parte dei ministri dei Paesi firmatari nella quale si sono impegnati a integrare i diritti delle persone con disabilità fissando degli intenti comuni. La Svizzera non era tra Paesi firmatari, ma questo evento ci offre l’occasione di guardare al mondo della disabilità in Ticino, in particolare attraverso gli occhi di due direttori che da anni gestiscono strutture dedicate alle persone disabili, e che ci assicurano per il momento di non essere stati particolarmente toccati dai recenti tagli decisi dal Consiglio di Stato in merito al settore della disabilità.

    Attiva da più di 100 anni

    Roberto Roncoroni.

    All’OTAF di Sorengo incontriamo Roberto Roncoroni, direttore dal 2013 dell’istituto che oggi accoglie circa 400 utenti, tra bambini, ragazzi e adulti con disabilità fisica, cognitiva e psichica gravi e medio gravi, assistiti quotidianamente da circa 420 collaboratori. Un vero e proprio quartiere, nato nel 1917 e che nel tempo da Sorengo si è esteso in diverse parti del Cantone fino all’ultima struttura aperta a Bellinzona lo scorso settembre. “L’OTAF – ci spiega il direttore - nasce per accogliere i bambini e i ragazzi fragili e malati; solo dopo gli anni ’60 comincia ad occuparsi di bambini cerebrolesi e da allora è stato un percorso per adeguare le strutture e i servizi all’evoluzione della società. Col tempo abbiamo così sviluppato l’apertura dei foyer sul territorio, delle case e di attività diurne”. Oggi l’OTAF gestisce diversi laboratori di gastronomia che assicurano pasti a diverse scuole sul territorio, di falegnameria, di informatica e artigianali, oltre alla gestione di una agenzia postale: “All’interno di essi vengono impiegate persone con una buona autonomia e una buona capacità di relazione e di comprensione del lavoro che devono svolgere. Per loro è un’attività di grande responsabilità, oltre ad essere un impiego dignitoso e retribuito. Siamo usciti dal fare il semplice lavoretto fine a sé stesso e questo è molto valorizzante per le persone che ci lavorano perché viene riconosciuta la qualità di quello che fanno”. Un’attività che offre ai ragazzi impiegati l’occasione di sentirsi parte della società: “Io dico sempre che ci sono due modi per fare inclusione - continua il direttore - : portare la persona con disabilità sul territorio o portare la società all’interno della struttura ed è quello che spesso ci piace fare, soprattutto nel polo di Sorengo. I clienti vengono, si relazionano, conoscono, vedono le potenzialità e tornano magari con una seconda, terza commessa di lavoro”.

    C’è poi la parte dei bambini che segue il sistema scolastico ticinese sviluppato su un modello di intervento su tre livelli a seconda della gravità dell’handicap: “In tutti i livelli – spiega Roncoroni -, l’OTAF assicura l’aspetto dell’inclusione e permette di sviluppare un progetto educativo individuale con degli obiettivi educativi studiati per il singolo individuo”. Dalla scuola, alle aziende si direbbe dunque che la società di oggi sia più pronta ad accogliere la disabilità: “C’è una sensibilità maggiore che si vede in varie ambiti, ad esempio in architettura si tende a prediligere le costruzioni senza barriere. Si può sempre migliorare, ma credo che oggi ci sia la giusta attenzione per la persona con disabilità e che si riconosca anche il loro ruolo attivo nella società sia in ambito lavorativo che in ambito artistico. Negli ultimi anni abbiamo favorito delle attività con i ragazzi delle scuole e credo che questa sia la strada giusta per far cadere le barriere. Proprio per agevolare questo aspetto, il quartiere dell’OTAF non è più un quartiere chiuso, ma in alcuni momenti dell’anno si apre alla società consentendo l’incontro e la conoscenza reciproca. Con l’architetto Botta (che ha firmato il progetto del polo di Sorengo, ndr) non abbiamo voluto cancelli alti più di un metro proprio per favorire l’accoglienza e l’apertura verso l’esterno. Con l’accoglienza abbatti le barriere e i pregiudizi”.

    Una società più aperta

    Alla Casa don Orione a Lopagno ci accoglie Claudio Naiaretti, direttore della Fondazione San Gottardo che, dal 1996 e con diverse modalità, accoglie 130 persone adulte con disabilità. Quello della disabilità è un settore che, secondo Naiaretti, ha avuto negli ultimi decenni una evoluzione molto positiva, nel pensiero, ma anche nella presa a carico della persona: “Se si pensa a qualche decennio fa – spiega Naiaretti -, erano perlopiù opere private, spesso religiose, che assumevano questo ruolo di accudimento. Negli anni in questo settore è entrato lo stato, e il prendersi cura delle persone con disabilità è diventato un compito pubblico, tanto che nel 2014 la Svizzera ha sottoscritto la Convenzione sui diritti delle persona con disabilità. Col tempo, sono cambiate anche le priorità: mentre fino a qualche anno fa si metteva il focus sui limiti che le persone avevano, oggi sempre più il focus è incentrato sulle risorse e sulle potenzialità che ognuno di noi ha e deve poter esprimere al meglio. Spesso i centri come il nostro erano chiusi e accoglievano le persone che venivano emarginate dalla società; oggi ci siamo aperti perché la società ce lo ha permesso, ha cambiato il suo sguardo sull’altro”. Il percorso è ancora in divenire ma si sta a poco a poco capendo che “la persona deve essere valorizzata indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso o dai propri limiti”. È cambiato dunque l’approccio e il modo di relazionarsi con la disabilità: “È chiaro che le persone con disabilità confrontate con un contesto che permette di valorizzare le potenzialità sono sempre meno disabili di quando invece si confrontano con un contesto esclusivo e giudicante. E questo lo viviamo tutti noi, perché tutti noi abbiamo le nostre fragilità”.

    La Fondazione San Gottardo come è dunque riuscita ad uscire nella società? “Nei nostri istituti, ci sono cinque tipologie di accoglienza e di accompagnamento a differenza delle autonomie e delle potenzialità di ognuno: le case con occupazione dove le persone vivono 24 ore al giorno e sono accolte nella loro completezza e dove vengono proposte attività diurne con laboratori, uscite e atelier; poi ci sono i foyer per persone con una determinata autonomia che possono lavorare in laboratori o in contesti lavorativi integrati; gli appartamenti protetti che rappresentano un accompagnamento per quelle persone con ancora maggiore autonomia che possono vivere a casa propria e che vengono accompagnate a seconda dei bisogni che hanno con dei progetti educativi specifici alla loro disabilità. Infine, abbiamo le attività diurne con i laboratori produttivi – a Melano abbiamo un laboratorio agricolo che impiega 25 persone – o con attività di socializzazione. Tutte queste proposte, rappresentano esperienze di autodeterminazione, ovvero l’occasione per poter vivere la propria vita in un contesto più collettivo, ma anche più autonomo, che spesso riesce ad alleggerire il carico delle famiglie”.

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