La guerra in Siria non è finita, almeno non per chi, come i cristiani, continua a vivere sotto costante minaccia. A testimoniarlo è padre Georges Aboud, sacerdote melkita libanese che per oltre vent’anni ha vissuto e operato in una parrocchia di Damasco. Dal 26 al 30 giugno, padre Aboud è stato ospite in Ticino invitato da “Aiuto alla Chiesa che soffre”: durante la visita, accompagnato da Lucia Wicki-Rensch, Responsabile di ACN per la Svizzera Italiana, il sacerdote ha ricevuto una bella accoglienza in diverse parrocchie ticinesi dove ha raccontato la trasformazione drammatica vissuta dalle comunità cristiane siriane. “Nel 2010, la vita era piena di speranza”, ricorda. “La comunità era viva, lo Stato sembrava aprirsi, la gente viveva con entusiasmo la fede e la socialità.” Poi è arrivato il 2011, la cosiddetta primavera araba, e con essa il buio: tensioni politiche, proteste, repressione, nascita di fazioni armate e il dilagare di gruppi estremisti. Interi quartieri di Damasco sono passati sotto il controllo di milizie che non tolleravano la presenza cristiana. Le chiese sono state prese di mira: “Ci nascondevamo per giorni. Un sacerdote è morto sotto le bombe, altri sono stati rapiti. Nessuno era al sicuro”, dice padre Aboud. Anche l’episodio recente del 22 giugno 2025, quando almeno venticinque persone sono morte in un attacco a Damasco, dimostra quanto la pace sia ancora lontana.

Nonostante il cambio di governo e la fine formale del regime di Bashar al-Assad, la Siria continua a essere frammentata e pericolosa. “La polizia non c’è, le forze dell’ordine sono inefficienti, il controllo è in mano a gruppi armati locali. Siamo tornati indietro, anche sui bus le donne devono sedersi lontano dagli uomini. Se si siedono vicino vengono interrogati sulla loro relazione”. Prima della guerra, i cristiani rappresentavano circa il 10% della popolazione siriana; oggi si stima siano scesi sotto il 3%. Le chiese si svuotano: “Un mio confratello che vive a Damasco dice che ormai quasi tutte le chiese sono chiuse”. Le famiglie emigrano, i giovani non vedono futuro. La crisi economica ha reso la vita insostenibile; eppure, c’è chi resiste. “Vogliamo restare nella nostra terra, come cittadini siriani e come cristiani. Cerchiamo il dialogo, siamo cristiani, uomini e donne di pace”, afferma padre Aboud. “Abbiamo bisogno di aiuto, ma non vogliamo pietà. Vogliamo solo poter vivere in pace e dignità”.
In questo senso il ruolo dell’organizzazione internazionale di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” è stato ed è fondamentale. Fondata nel 1947 dal sacerdote olandese Werenfried van Straaten, ACS è una fondazione pontificia presente in 23 Paesi e attiva in oltre 130. Finanziata esclusivamente da donazioni private, ogni anno sostiene circa 6.000 progetti a favore dei cristiani perseguitati e poveri. In Siria, l’impegno dell’organizzazione è stato continuo e capillare: sostegno alimentare, aiuti sanitari, ristrutturazione di chiese, microcredito per attività artigianali, finanziamenti per l’energia solare e soprattutto supporto educativo. Nel 2023, ACS ha stanziato 2,6 milioni di euro per 176 scuole cattoliche in Siria e Libano, offrendo borse di studio a oltre 16.000 studenti. Ha distribuito latte in polvere per neonati, assistenza sanitaria a famiglie in fuga e formazione per insegnanti.
“Senza Aiuto alla Chiesa che Soffre molte parrocchie sarebbero chiuse. Noi restiamo anche grazie a loro”, dice padre Aboud. Il loro aiuto è materiale ma anche spirituale: dona speranza. “Ci sentiamo meno soli, sappiamo che qualcuno prega per noi. Questo ci dà forza.” La sua recente visita in Svizzera ha avuto un obiettivo chiaro: sensibilizzare. “La comunità cristiana occidentale deve sapere che la nostra gente ha ancora bisogno. Pregate per noi, ma fate anche pressione sui vostri governi perché non ci dimentichino.” Finché mancheranno giustizia, sicurezza e libertà religiosa, la pace resterà un miraggio: “Non siamo ospiti, siamo parte di questa terra. Ma da soli non ce la faremo.” Il messaggio di padre Aboud è un grido che viene da una fede ferita ma viva. Un invito all’ascolto e alla solidarietà, perché la Chiesa che soffre possa continuare a vivere là dove tutto sembra gridare alla morte. Il futuro dei cristiani in Siria è appeso a un filo, ma quel filo resiste grazie alla rete globale della carità e della preghiera. “Ogni lettera, ogni gesto, ogni euro che arriva da lontano è come una candela accesa nel buio.” Ma il tempo stringe. Hanno bruciato l'albero di Natale e sparato contro un crocefisso. Intere famiglie, anche tra quelle più radicate nella tradizione locale, stanno cedendo. “Quando vedi i tuoi figli senza cibo o senza cure, anche la fede vacilla. Solo se ci sentiamo parte di una Chiesa più grande possiamo continuare e possiamo guardare al futuro con speranza”. E se oggi è possibile ancora parlare di una presenza cristiana in Siria, lo si deve anche a chi, da lontano, ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.