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  • Padre Patton: «Essere profeti di pace in Terra Santa sull'esempio di San Francesco»

    Padre Patton: «Essere profeti di pace in Terra Santa sull'esempio di San Francesco»

    intervista di Cristina Vonzun

    Gerusalemme, Israele, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, il Libano, la Siria, i territori palestinesi. Terre e popolazioni che in questi giorni sono sempre e ancora una volta, al centro dell’attenzione mondiale per via di tensioni e guerre. Ma c’è anche chi vi semina pace, educazione, carità da 800 anni. Sono i frati della Custodia francescana di Terra Santa, Provincia dei Frati minori, che custodiscono i luoghi della fede cristiana e quest’anno celebrano un anniversario significativo: i 100 anni della dedicazione dei Santuari del Getsemani e del Tabor. Ne parliamo, anche alla luce dell’attualità di questi giorni, con padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa dal 20 maggio 2016.

    «Il senso di questo anniversario – dice – è legato al messaggio di queste due basiliche, costruite contemporaneamente dall’architetto italiano Antonio Barluzzi (1884-1960) nel periodo immediatamente successivo alla Prima Guerra Mondiale. Sono due basiliche che sottolineano la luce e l’oscurità nella vita di Gesù e per questo ci aiutano a comprendere meglio e vivere con fede anche i momenti di luce presenti nella nostra vita e nella nostra storia. Anzi, ci aiutano a non dimenticare che i momenti di tenebra vanno vissuti facendo memoria dei momenti di luce e di trasfigurazione, altrimenti verrebbe meno la speranza che possa esistere un mondo migliore».

    Padre Patton, a Gerusalemme per l’anniversario, avete realizzato degli allestimenti museali e una giornata di studio. Che senso ha scommettere su arte e bellezza in un momento come questo?

    «Scommettere sulla bellezza e sull’arte vuol dire scommettere sul lato migliore della nostra umanità. Dostoevskij diceva che sarà la bellezza a salvare il mondo e personalmente credo che sia nostro compito coltivare e educare a questa sensibilità che è l’esatto opposto di ciò che produce la guerra: distruzione, orrore, bruttezza, sofferenza. Il bello è il risvolto luminoso del bene. Ad Aleppo, per curare i traumi dei bambini e dei ragazzi nati e cresciuti in tempo di guerra, gli stessi psicologi non hanno trovato suggerimento migliore che quello di far sperimentare ai bambini e ai ragazzi ambienti belli e di poter praticare varie espressioni artistiche e sportive».

    Come vivono i cristiani locali, tanti impegnati anche nell’accoglienza dei pellegrini? Sappiamo che la paura suscitata da quello che capita a Gaza e al confine di Libano e Israele blocca i pellegrinaggi... 

    «Per i cristiani locali, specialmente per quelli della Cisgiordania, la situazione è drammatica. I cristiani di Betlemme vivono sull’indotto del turismo religioso e senza pellegrini non hanno lavoro, perché non ci sono gruppi da guidare, gli hotel sono vuoti, nessuno compera i prodotti nei piccoli negozi. Questo crea un circolo vizioso, perché le famiglie si ritrovano senza reddito e nell’incapacità di far fronte a spese ordinarie come quelle per la scuola, per il cibo e per le medicine. Poi quelli di altre zone della Cisgiordania, che venivano a lavorare in Israele si trovano pure senza lavoro perché non ottengono se non in pochi casi i permessi per venire a lavorare al di qua del muro. Noi cerchiamo di assisterli attraverso le strutture parrocchiali, la condivisione delle risorse dei conventi e anche attraverso gli interventi dell’associazione Pro Terra Santa».

    Voi frati siete anche molto impegnati nell’educazione. Come cercate di trasmettere ai giovani l’ideale di una convivenza pacifica?

    «Puntiamo molto sull’esperienza di S. Francesco e abbiamo come modello il suo incontro con il Sultano, a Damietta nel 1219. Questo modello ci permette di sviluppare un’educazione all’accettazione reciproca, alla fraternità e alla collaborazione. Di fatto nelle nostre scuole la convivenza è soprattutto tra cristiani e musulmani ma nella scuola di musica del Magnificat è tra cristiani, ebrei e musulmani. Il rispetto e l’accettazione reciproca sono dei punti di partenza, poi i passi successivi sono quelli di una esperienza di collaborazione fraterna anche per iniziative concrete di promozione della pace e di sensibilizzazione su questo tema».

    In che modo il carisma di San Francesco le è di aiuto in questo contesto difficile?

    «Il carisma di S. Francesco mi aiuta perché è una costante iniezione di fiducia. Infatti, per S. Francesco il punto di partenza è l’esperienza del fatto che mi posso fidare di un Dio che è Padre, che si prende cura di me in modo straordinario, al punto che per me ha donato suo Figlio e a me ha donato il suo Spirito. Poi c’è l’altra grande convinzione, che è una conseguenza di questa: ogni persona e ogni creatura sono per me fratello o sorella, hanno una dignità che mi fa guardare a loro con fiducia e mi fa andare verso di loro con fiducia. La spiritualità di S. Francesco mi insegna che occorre avere il coraggio di andare incontro agli altri (uomini e animali) disarmati: se l’altro mi percepisce come non pericoloso è più facile che accetti di entrare in relazione con me. In otto secoli tutti quelli che sono venuti in Terra Santa armati non sono rimasti a lungo, mentre i frati che sono venuti qui senza armi sono ancora qui, dopo otto secoli».

    Getsemani e Tabor: Santuari da un secolo

    Andare pellegrini in Terra Santa significa salire a piedi al Tabor, il monte in cui la tradizione colloca l’evento narrato dai Vangeli della Trasfigurazione di Gesù e andare nella collina che sta di fronte a Gerusalemme per visitare l’Orto degli Ulivi, detto Getsemani, luogo delle ultime ore di Gesù prima dell’arresto. Attualmente sono 100 anni quest’anno dalla dedicazione delle due basiliche erette in questi luoghi all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Santuari di pace nel cuore di una terra travagliata.

    Leggi anche la testimonianza della docente e ricercatrice ticinese Myriam Di Marco da Haifa.

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