di Laura Quadri
«Primo aspetto fondamentale del “Vangelo secondo Matteo” (1964) pasoliniano è la fedeltà letterale al Vangelo, come se si trattasse di una parafrasi. Riteneva infatti il Vangelo l’opera più sublime e alta della razionalità umana». Così Giacomo Jori, professore di letteratura all’USI, sintetizza i tratti salienti dell’opera di Pier Paolo Pasolini in occasione dei 50 anni dalla morte, che ricorreranno domani. Un anniversario importante, occasione per ripercorrere il suo pensiero di intellettuale e di cristiano.
«Pasolini rimane influenzato, sin dall’infanzia, dalla religiosità della madre, una religiosità cattolica popolare, e ha modo di approfondire la sua fede nell’ambito friulano dove trascorre le sue estati», sottolinea Jori. Tale religiosità accompagnerà Pasolini lungo tutta la sua vita. L’attenzione all’elemento religioso, infatti, «è costante nella sua opera. La sua prima raccolta di poesie giovanili, “L’usignolo della Chiesa cattolica”, opera in cui si posiziona apertamente come autore di matrice religiosa, contiene molti riferimenti alla letteratura religiosa, prendendo spesso spunto dalla Bibbia. Un’altra raccolta si intitola, sempre con un riferimento alla religiosità, “La religione del mio tempo”. Scrive, in questi testi, pensando anche ai Papi: Pio XII, evocato in una poesia ma anche la figura di Papa Giovanni XXIII, a cui dedica il suo “Vangelo” negli anni dell’apertura del Concilio. Tra i suoi punti di riferimento vi sono gli autori del modernismo cattolico, e l’ideale di una Chiesa universale ma anche la spiritualità francescana. Negli stessi anni Sessanta, tutta una parte del suo film “Uccellacci uccellini” è dedicata a una riscrittura dei Fioretti, riprendendo passaggi chiave della leggenda francescana». Una densa ricerca spirituale che infine scaturisce nella pellicola dedicata al Vangelo: «La prima ispirazione per il suo “Vangelo secondo Matteo” del 1964 gli viene data in occasione di un suo soggiorno ad Assisi, come egli stesso racconta. Un frate francescano gli fa infatti trovare il Vangelo sul comodino. E i francescani rimarranno i suoi riferimenti costanti nella realizzazione dell’intero film. Fa inoltre recitare nei panni degli apostoli alcuni dei suoi amici intellettuali, come il giovanissimo Giorgio Agamben e Natalia Ginzburg, nei panni di Maria di Betania, mentre nei panni di Maria mette sua madre. Per la scena di Maria sotto la croce si ispira a grandi testi, come la lauda duecentesca “Donna me prega” del francescano Jacopone da Todi».
Dopo il «Vangelo», Pasolini, racconta Jori, si concentrò sulla figura di S. Paolo, pensando, dopo la lettura attenta dei testi neotestamentari e particolarmente delle Lettere paoline, ad un nuovo film, poi mai realizzato e dando alle stampe la sua raccolta poetica «Trasumanar e organizzar» (1971). Riscoprire, oggi, questo approccio al Vangelo e con esso il pensiero pasoliniano, rimane, secondo il Jori, un imperativo: «Gli anniversari sono importanti: bisogna scostarsi dalla leggenda incrostata di luoghi comuni sorta attorno a Pasolini e, al contrario, leggerlo, perché se lo si legge lo si scopre grande poeta e regista religioso».