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  • Pellai: "Dialoghiamo con i figli e stiamo attenti ai loro segnali"

    di Silvia Guggiari

    Il 20 Novembre 2012, Andrea Spezzacatena, un ragazzo che aveva appena compiuto 15 anni, si tolse la vita. Fu il primo caso in Italia di bullismo e cyberbullismo che portò al suicidio di un minorenne. L’incidente scatenante fu l’aver voluto indossare dei pantaloni rossi, regalo della madre, che a causa di un lavaggio sbagliato erano diventati rosa. La sua vicenda è raccontata nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” che verrà proiettato stasera al cinema Lux di Massagno. Un evento che ci offre l’occasione di parlare di bullismo e cyberbullisimo con il prof. Alberto Pellai, psicoterapeuta dell'età evolutiva, che ha trattato questi temi nel volume “Allenare alla vita” (ed. Mondadori).

    Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta
    Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta

    Prof. Pellai, il film racconta la fragilità e la forza di un ragazzino che diventa bersaglio di prese in giro e discriminazioni. Dal suo punto di vista, quali sono i segnali più precoci che genitori e insegnanti dovrebbero saper cogliere per riconoscere una situazione di bullismo?

    Dobbiamo stare attenti ai cambi comportamentali improvvisi che si manifestano a volte nei nostri ragazzi: un silenzio protratto nel tempo da un figlio che è sempre stato loquace, piuttosto che l’evitare di frequentare alcuni ambienti e persone, o ancora il non andare a scuola, piuttosto che entrare in ritardo. Solitamente questi atteggiamenti sono legati a qualcosa di grosso che è accaduto nella vita del bambino o del ragazzo e sono i segnali che indicano che si sente impotente e pieno di vergogna in una situazione in cui è vittima di bullismo o di cyberbullismo.

    In una età in cui la comunicazione è spesso faticosa, come si può entrare in relazione con i nostri ragazzi che stanno già vivendo un disagio?

    È importante che i genitori facciano prevenzione, ad esempio parlando con i figli del fatto che si può diventare vittime di bullismo, spiegando che cos’è un’azione di bullismo e si qualifichino come “il porto sicuro” a cui sempre fare riferimento quando accade qualcosa che non riescono a gestire o che hanno paura a gestire. Inoltre, il momento del pranzo e della cena può diventare luogo di dialogo in cui può essere utile raccontare ai figli le prepotenze di cui si è stati vittime per dimostrare che questo aspetto può entrare nella vita delle persone e può esserci anche nel luogo di lavoro. Per approcciarsi al tema del bullismo, consiglio inoltre la visione del film “Wonder”.

    Come possiamo aiutare i ragazzi a sviluppare una certa consapevolezza digitale?

    L’ambiente digitale è un luogo troppo complesso rispetto alle competenze e alle capacità che i bambini e i ragazzi hanno. Bisognerebbe vietare l’iscrizione ai social media prima dei 16 anni, e non dotare un figlio di uno smartphone prima dei 14 anni: prima di questa età i loro gruppi whatsapp possono essere inseriti sullo smartphone dei genitori in modo che possa diventare una palestra e che insieme si impari a gestire le cose che accadono nelle loro chat che possono anche essere causa di dolore. Il punto è che i ragazzi non possono entrare nel mondo virtuale senza alcun tipo di accompagnamento educativo e una supervisione da parte del mondo adulto.

    Spesso i genitori si trovano in difficoltà a mantenere una linea educativa ferma perché inseriti in un contesto in cui altri genitori concedono smartphone e accesso al virtuale precocemente. Come si può mantenere questa linea senza rischiare che il proprio figlio diventi oggetto di bullismo o discriminazioni?

    Tutta la società è chiamata a rivedere queste linee, altrimenti noi genitori, pur di non correre il rischio che nostro figlio venga discriminato, li mettiamo dentro a un ambiente che è diventato la più grande fonte di bullismo. Da 10-15 anni parliamo di cyberbullismo ma la prevenzione che abbiamo a disposizione non ha ridotto il fenomeno ma l’ha aumentato sempre di più perché quell’ambiente è davvero faticosissimo da gestire. Attendere l’età giusta non vuol dire prevenire il cyberbullismo, ma vuol dire permettere loro di entrare in un territorio così complesso avendo comunque più abilità e competenze sia emotive che cognitive per poter far fronte a ciò che accade. Senza questa consapevolezza, come racconta anche bene il film, il rischio è di trovarsi in balia delle cose che accadono sperimentandosi impotenti e incapaci di reagire.

    Il titolo del film ci richiama all’idea di una diversità “non conforme”. Quanto pesa oggi nei ragazzi la pressione degli stereotipi di genere e dei modelli imposti dai coetanei?

    È un tema grande legato ai temi di genere e al fatto che maschile e femminile sono tuttora “impacchettati” dentro a una visione stereotipata. È chiaro che quel genere di atti raccontati nel film sono ancora molto presenti nella vita dei nostri figli e che per riuscire a superarli e ad affrontarli è necessario avere a disposizione una buona competenza emotiva, affettiva, sessuale e di genere che è ancora molto carente nell’esperienza sia scolastica che di vita dei nostri figli.

    Che ruolo giocano i compagni “spettatori” negli episodi di bullismo?

    Nell’atto di bullismo, quello dei compagni spettatori è un ruolo cruciale sia nella vita reale che nella vita online, che può cambiare le sorti della vittima. Per questo è necessario fare una azione educativa e preventiva molto intensa, dove insegniamo ai ragazzi che in una community dove avviene bullismo, l’indifferenza come anche l’intervento a fianco del bullo rende complici e corresponsabili.

    I giovani di oggi come stanno? Quali sono le emergenze più grandi da affrontare?

    Trovo che ci sia molta emergenza dell’ambito della salute mentale con una grande fragilità sia nel mondo adulto che nel mondo dei ragazzi. L’aspetto più preoccupante è sicuramente il continuo disinvestimento sulla vita reale e l’aumento invece di tempo ed energie di attività dedicate alla vita virtuale che è una vita che si svolge in solitudine chiusi dentro alla stanza e che non offre alcun allenamento concreto alla vita reale. Dobbiamo rimettere i nostri figli nel mondo e dobbiamo rivedere tutta la digitalizzazione della crescita che abbiamo reso così facile e così accessibile negli ultimi 20 anni.

    Qual è il messaggio più forte che emerge dal film?

    Siamo tutti corresponsabili sia nel promuove la salute sia nel promuovere i fattori di rischio e questa è una sfida socio-culturale che ci deve vedere tutti in prima linea.

    Stasera a Massagno

    Sabato 13 settembre alle ore 20.15 al Cinema Lux di Massagno, si terrà la proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa organizzato dal Club dei Mille del Centro con il saluto di Raffaele De Rosa, direttore del Dipartimento della Sanità e della Socialità. Ospite della serata Teresa Manes, madre di Andrea Spezzacatena, la cui storia è narrata nel film. Dopo la visione del film seguirà un dibattito aperto sul tema del bullismo, cyberbullismo e sul ruolo degli smartphone. La serata sarà moderata da Carla Norghauer. Ingresso gratuito sino a esaurimento posti.

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