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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (19 agosto 2025)
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  • Abbazia di Engelberg (OW)

    Quale futuro per abbazie e monasteri svizzeri: se ne è parlato in una tavola rotonda

    Diminuzione delle vocazioni, perdita di influenza della religione: numerose comunità monastiche svizzere guardano al futuro con preoccupazione. Questi temi sono stati affrontati lo scorso 13 agosto durante una tavola rotonda all'Abbazia di Engelberg (OW).

    Quadri raffiguranti il monastero isolato tra alte montagne, un complesso di edifici a più piani con una facciata di un bianco splendente, accolgono il visitatore nella sala barocca dell'Abbazia benedettina di Engelberg. Si tratta di dipinti a olio realizzati nel XVIII secolo da un certo Meinrad Keller, originario di Baden, su richiesta dell'abate. È così che un'istituzione socialmente importante si presentava con sicurezza all'apice del suo potere, mentre il villaggio di Engelberg non compare nei dipinti.

    Una ricca tradizione

    Ma il tempo non si è fermato. L'abbazia è ancora lì, anche se non è più un fattore di potere sociale. La sera del 13 agosto, visitatori e alcune persone vestite con l'abito nero dei benedettini si sono riuniti nella sala barocca di Engelberg per discutere del futuro delle comunità monastiche.

    Si è trattato di un evento conclusivo di una serie di manifestazioni intitolata «Kultursommer» (estate culturale), che ha permesso a persone esterne di scoprire i retroscena dell'abbazia. La tavola rotonda aveva come tema le relazioni tra il mondo monastico e il villaggio globale.

    «Come possono i monasteri plasmare il proprio futuro in modo attivo e coraggioso, nel rispetto della loro ricca tradizione, pur rimanendo attenti alla società attuale e alle sue esigenze?». Questa era la domanda centrale esaminata da Christian Meyer, abate di Engelberg, Irene Gassmann, priora dell'abbazia benedettina di Fahr (AG), Emanuel Trueb, oblato di Engelberg, Sabine Schubert-Prack, pedagogista religiosa, e Benedict Schubert-Prack, della comunità Don Camillo.

    Un edificio sontuoso ma in gran parte inutilizzato

    L'abbazia benedettina di Engelberg è ancora un edificio sontuoso. Ma molte celle sono disabitate. Solo 17 monaci appartengono ancora a questo monastero, di cui 14 vivono attualmente sul posto. Quando l'abate Christian Meyer ha annunciato queste cifre all'inizio della tavola rotonda, i visitatori si sono preparati a trascorrere una serata malinconica. Come se si trattasse di valutare una perdita, di ripercorrere un declino. Ma due ore dopo, mentre percorreva il tragitto tra la porta del monastero e la stazione ferroviaria, si mostrava pieno di entusiasmo e ottimista riguardo al futuro.

    Bisogno di senso

    L'abbazia di Obwalden ha quasi 1000 anni. In certi periodi, l'afflusso di novizi era così importante che gli abati potevano soddisfare la forte domanda solo fondando abbazie filiali in Africa o in America. Perché oggi intere ali dell'edificio sono vuote? Una domanda difficile, alla quale non esiste una risposta semplice. Termini come razionalizzazione, perdita del senso religioso, secolarizzazione vengono subito in mente. Ma essi si limitano a nominare la perdita, senza spiegarla. Perché oggi c'è folla nei negozi esoterici profumati di incenso, negli ashram e nei ritiri benessere. Tutto ciò indica che la prosperità materiale non può soddisfare il bisogno di appartenenza – di religiosità –, che il desiderio di un reincanto del mondo e la voglia di lasciarsi alle spalle il secolare sono sempre presenti.

    Panico spirituale dell'ultimo minuto?

    In una società che offre molteplici opzioni, la maggior parte delle persone vuole semplicemente mantenere aperte tutte le opzioni il più a lungo possibile e non è più disposta a trasformare un vago desiderio spirituale provato in gioventù in una vita vissuta. Più tardi, quando la maggior parte delle opzioni è svanita, i figli hanno lasciato la casa, il partner ha cambiato compagno di vita, molti provano, in età matura, il desiderio molto pressante di unirsi a una comunità affiatata, di ispirazione religiosa. Il monastero potrebbe quindi diventare una casa di riposo per chi è stanco della civiltà e alla ricerca di un senso, un rifugio per le vittime del panico spirituale dell'ultimo minuto?

    La sfida delle vocazioni tardive

    I responsabili dei monasteri hanno constatato che non è facile integrare nella loro comunità religiosi e religiose che sono arrivati in età avanzata. Perché la comunità monastica è una cosa particolare. Non si basa su sentimenti di amicizia, su una reciproca simpatia, ma sulla fede in Dio. La priora Irene Gassmann lo ha espresso chiaramente: molte delle sue sorelle probabilmente non si sarebbero ritrovate nella vita profana come colleghe o coinquiline. Ma sotto il tetto del monastero vivono insieme perché la fede, perché Dio le ha riunite. Questa comunità le trasforma, permette loro di maturare più rapidamente sul piano spirituale. Per questo motivo è difficile accogliere in una comunità monastica tradizionale e ben consolidata persone che scoprono i propri bisogni spirituali solo in età avanzata.

    Zone di transizione

    Ma questo non significa che solo i giovani novizi possano varcare le mura del monastero. La clausura e il villaggio non sono separati da un confine ben definito, esistono infatti delle zone intermedie, di transizione. Questa è la buona notizia che i visitatori hanno potuto portare con sé lasciando la sala barocca: la presenza di zone di transizione, spazi di creazione, luoghi di incontro. Anche se circondati da mura, i monasteri possono diventare punti di cristallizzazione della spiritualità. Possono farlo se utilizzano in modo intelligente queste zone e questi spazi e creano opportunità che consentono ai credenti e alle persone esterne in cerca di spiritualità di «radicarsi» in essi.

    «Comunità di viaggio». Questo termine tecnico, derivato dal linguaggio marittimo, indica una forma di convivenza che non richiede un tetto comune. È stato utilizzato durante la tavola rotonda, in particolare dalla comunità Don Camillo. Presente in diversi luoghi del Mittelland svizzero, è stata fondata negli anni '70 a Basilea, attorno al tavolo della cucina di un appartamento condiviso. Questa comunità protestante, organizzata in associazione o in raggruppamento di associazioni, desidera mostrare alle persone del XXI secolo le possibilità contemporanee di uno stile di vita monastico.

    Un po’ di ottimismo per concludere

    Fin dagli inizi del cristianesimo, come ha ricordato l'abate Christian Meyer, sono state sperimentate più volte nuove forme di vita comunitaria cristiana, sono stati fondati numerosi ordini religiosi e sono state stabilite regole monastiche. Le grandi differenze tra gli ordini riflettono le diverse esigenze delle varie epoche. Anche la nostra epoca dovrà quindi reinventare il monastero. Ma anche gli ordini antichi possono evolversi. Le benedettine di Fahr hanno dimostrato come ciò sia possibile: hanno «venduto» alcuni edifici economici periferici per creare, nelle immediate vicinanze del monastero, uno spazio per una nuova forma di vita comunitaria, chiamata «habitat multigenerazionale». Anche nell'abbazia di Engelberg è prevista la creazione di alloggi per laici cristiani all'interno del monastero.

    (kath.ch/ Stefan Betschon /cath.ch/ Raphaël Zbinden – traduzione e adattamento catt.ch)

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