Raccolgo l’invito che Arianna Vassere (Imbarco immediato) ha lanciato dalle pagine del Corriere del Ticino del 24 agosto di voler proporre “se non un'alternativa, almeno una critica puntuale” alle due pagine dell’agenda scolastica del Canton Ticino che si trovano da giorni nell’occhio del ciclone. A noi adulti, genitori, educatori responsabili non spetta il compito di offrire soluzioni. Tantomeno soluzioni “facili” o alla moda. Piuttosto compito nostro è quello di aprire delle piste di riflessione. Ora, proporre in due pagine la soluzione “gender fluid” come risposta ai quesiti esistenziali di un/una adolescente, mi sembra voler rispondere ai legittimi e profondi interrogativi di chi sta crescendo, con uno slogan, piuttosto che con un percorso. Anzi, apponendo una nuova etichetta, piuttosto che insegnare al/alla ragazzino/a che si interroga, a rifuggire dalle etichette, ossia ai pregiudizi. Di tutti i tipi. Etichette e pregiudizi hanno determinato e pesantemente condizionato per secoli, le vite di donne e uomini, ingabbiandoli in ruoli a partire dal loro sesso. Definendone mansioni e ruoli dentro e fuori le case e le famiglie. Ci sono, poi, giudizi che scaturiscono a partire dal corpo che abbiamo. Definito di volta in volta, o troppo magro e troppo grasso, troppo alto, troppo basso, da un viso con acne o da un naso a uncino, da orecchie a sventola, lentiggini, voglie, nei evidenti, gambe a “X” o a “O”. Tutte piccole (o grandi) diversità, legate al nostro corpo e che fanno sentire diversi (rispetto a cosa, poi?) chi li abita e che possono diventare altrettanti pretesti per prendere in giro un ragazzo o una ragazza. Per non parlare di malattie o handicap che ci rendono diversi dai cosiddetti normo-dotati. Chiunque frequenta ragazzi e ragazze, anzi già bambini e bambine, sa quanto poco basta perché un bambino venga preso di mira e scherzato, per non dire bullizzato, dai suoi coetanei, per la minima diversità. Per non parlare di esclusioni dal gruppo, causate da provenienze da altri paesi, gruppi religiosi, ceti sociali. Alle volte basta anche solo non allinearsi nel vestire alla maggioranza, per venire esclusi dal gruppo. Sono situazioni quotidiane. Che tutti abbiamo vissuto o subito, ma anche praticato o sostenuto. Perché, non far partire da qui, il discorso sulle diversità? Magari aiutando i bambini ma di rimando anche tutti noi, a vivere le diversità di cui ciascuno è portatore, come una ricchezza. Qualcosa che non deve né intimorirci, né spaventarci. Partendo dall’osservazione della natura stessa, che da “madre” ci insegna che non ci sono due rose uguale una all’altra, due zebre identiche e che ogni mattina e ogni sera il sole tramonta con sfumature sempre diverse. Da un lato mi sembra davvero urgente questo tipo di discorso in una società (non solo di bambini) dove basta un nonnulla per essere dichiarato “fuori”, “diverso”, “altro”; d’altro canto mi sembra un percorso educativo bello, positivo e che possa venir intrapreso sin dalla più tenera età. Si parla ultimamente molto di “body shaming”, ossia dell’atto di deridere o commentare o discriminare una persona per il suo aspetto fisico. Una pratica diffusissima. Recentemente ne sono stati protagonisti anche due giornalisti che hanno indugiato a commentare i corpi di alcune tuffatrici. Questo, potrebbe essere un fecondo punto di partenza, il filone educativo da portare avanti sotto lo slogan: “Ciascuno è com’è”. Ma soprattutto: “Ciascuno è perfetto così com’è!” Perché è così che si abbattono i pregiudizi, gli stereotipi e le etichette che si vogliono -giustamente- eliminare. Insegniamo ai nostri bambini sin da piccoli non solo il rispetto della diversità e il suo diritto di esistere e di esprimersi, ma soprattutto la sua bellezza. Perché la questione non è quella di accettare determinate categorie di persone (ci sarà sempre qualcuno che ne resta fuori, non foss’altro che per dimenticanza) ma quella di insegnare ai nostri figli a non avere atteggiamenti giudicanti nei confronti di nessuno, a portare rispetto e ascolto a chiunque essi incroci sul loro percorso di vita. Ma forse di tutto questo si parla nelle rimanenti pagine dell’agenda scolastica del Canton Ticino, di cui non parla nessuno… di Corinne Zaugg
Intervista a fra’ Michele Ravetta, cappellano delle strutture carcerarie cantonali.
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)