L’attesa degli oltre 200 mila scout italiani e dei tanti che
aspettavano un film italiano rivolto ai giovani, è finita. Esce il 30
settembre in più di 200 sale cinematografiche di tutta Italia, con
proiezioni anche l'1 e 2 ottobre, il film “Aquile Randagie”, che in 109
minuti racconta la storia vera, intessuta di momenti romanzati, dello
scautismo clandestino in Italia, dal 1928 al 1945, 16 anni e 11 mesi,
che ha avuto i volti e i cuori di un gruppo di ragazzi lombardi che non
accettarono la soppressione dello scautismo, decretata da Mussolini e
accettata dai vertici dell’Asci, l’associazione degli scout cattolici
italiani.L' anteprima, molto applaudita, al Giffoni film festival
Il film realizzato da Gianni Aureli, regista, videomaker e capo scout, al suo primo lungometraggio, che ha condiviso il sogno, nato nel 2013, con la moglie Gaia Moretti, sceneggiatrice, docente di comunicazione interculturale alla Lumsa e capo scout, e molti altri che hanno dato il loro contributo anche attraverso due crowdfunding, è distribuito dall’Istituto Luce di Roma, che lo ha presentato ai mass media nella Casa del Cinema di Roma, dopo l’anteprima di fine luglio, applauditissima, al Giffoni film festival. Ed è costato solo 500mila euro, una cifra quasi simbolica se confrontata con i budget che hanno oggi i film.
Un'avventura che si apre in una baita di montagna
Entriamo nell’avventura delle Aquile Randagie dalla fine,
nell’ottobre 1945, con un 23enne don Giovanni Barbareschi, (l’ultima
“aquila” a lasciarci, il 4 ottobre dello scorso anno, a 96 anni),
interpretato da Alessandro Intini, con un maglione bianco e unoscialle nero, che bussa alla porta di una baita sulle montagne della
Valtellina e prende in consegna un ufficiale tedesco. I due si
arrampicano da soli lungo un ripido sentiero che li dovrebbe portare,
dopo ore di cammino, alla frontiera con la Svizzera.Il prete-scout che cerca di salvare il nazista dai partigiani
La loro salita fa da “cornice” a tutta la vicenda delle Aquile Randagie e di Oscar, l’Organizzazione scout cattolica assistenza ricercati, fondata nel 1943 dall’allora diacono Barbareschi e da alcuni parroci milanesi, e solo alla fine sapremo se sono riusciti ad evitare i partigiani, che vorrebbero giustiziare sul posto il criminale nazista. Ad un partigiano che gli chiede ragione dell’aiuto a chi era stato anche il suo persecutore, don Giovanni, nel film, risponde “E’ ora che la carità cambi di campo” e aggiunge “Io non sono il giudice di nessuno”. Chiediamo a Intini di parlarci del rapporto che si instaura, durante il cammino, tra don Barbareschi e l’ufficiale delle SS. “Sono due esseri umani, appartenenti a fazioni diverse – ci dice - però in qualche maniera riescono a comunicare, non si sa come, non si sa perché. Don Giovanni riconosceva che l’essere umano peccatore, deve essere giudicato per i suoi peccati e reati, questo è sicuro, però era un uomo che metteva sempre al primo posto l’esser umano, qualunque fosse la sua bandiera”.