di Laura Quadri
«Il problema della violenza sulle donne è endemico ed è bene ricordarlo ogni giorno, anche al di là dei momenti di sensibilizzazione. Troppe donne non sanno ancora a chi rivolgersi quando ne sono vittime. Vorremmo che la nostra voce, al loro fianco, si facesse sentire». È un appello tramato dall’urgenza di comunicare un messaggio vitale, che potrebbe salvare molte vite, quello rivoltoci da Marianna Meyer, membro di Comitato dell’associazione «Consultorio e Casa delle donne», in occasione della Campagna «16 giorni di attivismo contro la violenza di genere». Avviati nel 1985 il Consultorio e, l’anno dopo, anche il progetto della Casa di accoglienza, l’associazione è diventata un punto di riferimento per l’intero Sottoceneri. Nel suo rapporto di attività stima di aver potuto aiutare concretamente, nel 2024, 221 casi tramite l’ascolto offerto dal Consultorio, con un picco di oltre 150 pernottamenti mensili nella Casa. È inoltre attivo dal luglio di quest’anno un servizio specifico per la cura e la tutela dei minori che assistono alle violenze, e che vengono accolti assieme alle loro madri nella Casa. «Il minore che assiste a una violenza rischia di avere conseguenze per tutta la vita e che possono avere ricadute intergenerazionali». Per questo, «riteniamo che il minore esposto a violenza assistita è a tutti gli effetti una vittima», sottolinea Meyer.
Nel Sopraceneri ritroviamo invece l’associazione «Armònia», altrettanto attiva con una Casa e un Consultorio. «Negli ultimi anni il numero di chiamate è rimasto piuttosto stabile, tra le 350 e le 400 all’anno, quindi in media circa una al giorno. Di queste, un centinaio riguarda segnalazioni di violenza domestica», sottolinea la presidente dell’Associazione, Lorena Santo. Anche per la Casa la casistica è molto varia: «Abbiamo conosciuto – tra le nostre ospiti – donne di 18 anni provenienti da famiglie violente, che con noi hanno intrapreso il loro primo percorso di autonomia. Oppure donne di 60 anni e oltre, con figli e figlie già adulti, che si allontanavano da un matrimonio violento da decenni. Oppure abbiamo affiancato mamme giovani che, con l’arrivo del neonato, hanno capito di doversi allontanare dal compagno». Al centro di questo lavoro vi è un gesto tanto fondamentale quanto, oggi, trascurato: la capacità di un ascolto autentico. «Un ascolto privo di giudizio è il primo passo per restituire sicurezza e per permettere alla vittima di iniziare a ricostruire fiducia in se stessa e negli altri. Viviamo in una società frenetica, ricca di distrazioni e spesso poco attenta ai bisogni reali delle persone. Per le operatrici l’ascolto rappresenta il cuore del lavoro: senza un ascolto attento e rispettoso non sarebbe possibile comprendere la situazione, offrire supporto né aiutare la vittima a individuare un percorso di protezione e rinascita». Oltre alla violenza fisica, «ne esistono altre: psicologica, economica e sessuale. La violenza psicologica è molto diffusa e può manifestarsi attraverso umiliazioni o li[1]mitazioni della libertà personale». In un futuro ideale, auspica la Presidente, «il nostro lavoro non dovrebbe più essere necessario. Tuttavia sappiamo che questo scenario rimarrà irraggiungibile ancora per molto tempo. Per questo riteniamo fondamentale investire nella prevenzione. La violenza si combatte con l’educazione: un percorso che deve iniziare già nell’infanzia, insegnando il rispetto, l’empatia, la gestione delle emozioni e dei conflitti. È un lavoro che deve coinvolgere uomini e donne in tutte le fasi della vita, la responsabilità del cambiamento è collettiva e non può ricadere solo su chi subisce la violenza o su chi lavora nel settore», conclude.