«Penso che la città di Como dovrebbe essere contenta della figura e dell’esempio di don Giusto. Credo che gli andrebbe riconosciuta la massima onorificenza cittadina per i meriti di solidarietà sociale che lui ha». È chiaro il pensiero del sociologo, docente e scrittore Mauro Magatti all’indomani del dibattito innescato dal tam tam di condivisioni dell’editoriale di don Giusto Della Valle, pubblicato sul bollettino della comunità pastorale Rebbio-Camerlata di cui è parroco. E che ha provocato una stizzita reazione del sindaco, Alessandro Rapinese, che è arrivato ad affermare dalle colonne del quotidiano locale che sarebbe meglio se don Giusto se ne andasse.
La riflessione di don Giusto era diretta innanzitutto alle istituzioni che governano il territorio, ma anche a stili e atteggiamenti che rischiano di affermarsi nella vita quotidiana.
«L’intolleranza – ha scritto don Giusto – si fa strada nei nostri quartieri: è necessario ritrovare umanità».
Riflessione che ha provocato l’attacco di Rapinese che ha appunto affermato che il trasferimento del sacerdote sarebbe un bene per il quartiere e la città. Più sfumata la reazione del presidente della Provincia, Fiorenzo Bongiasca, che ricorda la disponibilità dell’Ente di Villa Saporiti in azioni come il “Piano freddo” per il dormitorio invernale dei senza dimora. Don Giusto, con le sue parole, voleva «scuotere l’anima della città». Così spiega quando gli chiediamo se si aspettava queste reazioni. «Ho fatto riferimento ad alcuni fatti ed episodi specifici – aggiunge – e da qui ho sentito la necessità di sollecitare una riflessione, un dialogo, con le istituzioni e nelle istituzioni. C’è tanta gente che, dal basso, si impegna per costruire, insieme, la città».
Il ministero di don Giusto, da sempre, si compone di attività pastorali e attenzione ai fragili, ai poveri, ai migranti. Per 12 anni è stato fidei donum della Chiesa di Como nella missione in Camerun ed è direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale dei Migranti.
Le motivazioni di don Giusto
Perché don Giusto ha sentito il bisogno di evidenziare il rischio di una disumanizzazione della città? Lo racconta lui stesso su “Il Focolare”.
Due richieste, presentate a Comune e Provincia, sono rimaste inevase, senza un accenno di risposta: da una parte l’invito a fornire aiuti concreti per le popolazioni ucraine e, direttamente all’amministrazione municipale, la sollecitazione a dare nuova vita e significato, nel particolare passaggio storico che stiamo vivendo, ai gemellaggi con le comunità di Nablus (in Cisgiordania) e di Netanya (in Israele).
Ma c’è un altro sintomo di disumanizzazione molto più vicina. «L’intolleranza ha detto – o quasi per i ragazzi e i giovani che giocano e fanno “rumore positivo” nei nostri quartieri ». Don Giusto, sottolineando che «la politica, che è anche l’arte di guidare una città, è tra i servizi più importanti in una collettività», ricorda la figura del sindaco di Firenze, Giorgio La Pira - «faro che illuminava la città, punta avanzata di civiltà a cui tendere» - e denuncia il rischio di una città che, «in un mondo sempre più villaggio globale», si chiude fra lago e colline, dimenticando quelle nuove generazioni e quelle associazioni che, «con i loro canti, giochi, feste, rendono umana la nostra città».
Il dibattito si è fatto vivace anche fra la gente. Di fronte al rilievo, espresso sempre al sindaco, di scelte e azioni che hanno «rovinato la qualità della vita del quartiere» la voce di don Giusto è ferma. «Credo – ha ribadito – sia evidente a tutti il lavoro di coesione sociale fatto, in questi anni, dalle persone, dalle associazioni, da tanti volontari che condividono valori e non creano divisioni o spaccature».
Nella sua riflessione don Giusto ha ripreso anche un’idea lanciata tre anni fa a partire dall’enciclica di papa Francesco: «era molto bello il progetto di “Como città fratelli tutti”», ha ribadito il sacerdote. Sono migliaia le persone «che vogliono costruire una società veramente fraterna», ma, come scritto nell’editoriale, faticano a trovare spazi di dialogo. «Quel progetto era nato all’indomani del Covid, quando tutti sentivamo il bisogno di tornare a tessere relazioni, in famiglia e nella società», ricorda ancora Magatti, che dell’iniziativa “Como città fratelli tutti” fu promotore. «Recuperare il senso di umanità è una necessità, per costruire un mondo più vivibile». Una sferzata, quella di don Giusto, che in molti hanno colto come occasione per un esame di coscienza, un invito a diventare persone migliori. «La politica sana e democratica dovrebbe rilanciare, immaginare un futuro – è la riflessione della presidente di Acli Como, Marina Consonno –. Penso che anche a Como le amministrazioni dovrebbero promuovere forme di partecipazione e dialogo. Per essere più umani ci vuole apertura, non chiusura. Questa è la mia lettura della provocazione di don Giusto, parole che credo meritino una riflessione».
fonte: avvenire