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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (4 luglio 2025)
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  • "Credere, avere fede, vale la pena". La testimonianza di Stefano Gilardi

    di Laura Quadri

    L’impegno politico, la vocazione di medico vissuta con intensità, ma poi anche la passione per lo sport, l’arte, la cultura e la musica, coltivate nel tempo promuovendo sul territorio svariate iniziative. Un vissuto ricco, raccontato, in forma di testimonianza, domenica scorsa durante il secondo appuntamento con i Vesperali in Cattedrale a Lugano, da Stefano Gilardi, medico e Sindaco di Muralto da 24 anni.

    «La medicina e la politica mi hanno rivelato che le situazioni esistenziali più significative spesso si trovano ai margini, lì dove normalmente insorge la frustrazione, per una patologia che progredisce senza arrestarsi o per un consenso, in politica, che non si riesce a ottenere, impedendomi di realizzare un progetto. Il limite è, in questo senso, una realtà inevitabile che si manifesta quotidianamente in entrambi i campi. In medicina, se la guarigione non è un’opzione, si è portati a intraprendere un percorso terapeutico palliativo, piuttosto che curativo. Ma è proprio a quel punto che il mio ruolo cambia: da guaritore a compagno di viaggio».

    Ogni medico, a un certo punto, si trova di fronte a un quadro clinico in cui le soluzioni non sono più disponibili. In quei momenti, rivela Gilardi, «ci si trova di fronte a una scelta cruciale: lasciarsi sopraffare dal dolore del paziente oppure impegnarsi nel difficile compito di inquadrare la situazione all’interno di un percorso di vita più ampio. Accettare che la morte occupi il suo spazio all’interno della vita è fondamentale, ma ciò che conta è la nostra capacità di arrivare a tale accettazione». Gilardi riconosce con gratitudine anche il ruolo delle persone che ha incontrato sulla sua strada: «Sono grato a coloro che, fin da piccolo, mi hanno fatto confrontare con la realtà della morte e con il dibattito esistenziale sullo scopo della vita. In realtà la vera fortuna è questa: affrontare questo tema precocemente e tentare di finalizzarlo come parte integrante della nostra esistenza. Come è capitato a me, ritengo che le energie profuse nell’ambiente famigliare, nell’educazione, sono fondamentali per il futuro equilibrio nell’affrontare le questioni esistenziali. Nella gioventù l’aver scelto una scuola di stampo cattolico privato e di qualità, ha certamente lasciato in me il suo segno». Da qui la lezione più importante: «Essere consapevoli della nostra finitezza apre le porte alla ricerca della conoscenza. Oggi posso dire che, di fronte alla frustrazione, mia o del paziente, mi sento armato. La frustrazione è una condizione che comunque vivremo. In questo mi riconosco molto nelle parole del filosofo e teologo Pascal: credere, avere fede, vale la pena. In un contesto di non certezze, insicurezze, il disegno cristiano che mi si presenta è il disegno che più mi nutre. Questo mi spinge a dare il massimo, per ogni giorno vissuto tra gli uomini e con gli uomini, cosciente di avere comunque bisogno dell’Oltre».

    In questo cammino, «la speranza, tema del Giubileo di quest’anno, emerge come una forza fondamentale, assieme alla sacralità della vita. Ciò che è sacro, in latino sacer, rimanda a tre relazioni costitutive dell’uomo: il rapporto con sé stessi, con l’altro e con l’Oltre. La vita è unica e per me è diventata sacra: mi richiama al rispetto per me stesso, dell’altro e dell’Oltre e proprio in questo Oltre, come ci insegna anche la sapienza dei Salmi, trovo una soluzione a molti problemi dell’oggi».

    L’ultimo appuntamento con i Vesperali è per domani alle 17 in cattedrale con il Coro Calicantus e la testimonianza di Ivo Antognini.

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