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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (19 dicembre 2024)
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  • Gabriele Nissim: «È sempre più necessario l’impegno di tutti per una diversa narrazione del conflitto in Medio Oriente»

    Gabriele Nissim: «È sempre più necessario l’impegno di tutti per una diversa narrazione del conflitto in Medio Oriente»

    di Gabriele Nissin, scrittore e presidente della Fondazione Gariwo

    È tempo di cambiare radicalmente il modo di rapportarci al conflitto in Medio Oriente. In questa guerra ci sono due sconfitti: gli israeliani e i palestinesi, per il terribile e inutile bagno di sangue, ma anche perché ancora oggi non si vedono leader che pongano all’ordine del giorno la necessità della pace e di un compromesso territoriale. Ne aggiungerei però un terzo. Siamo noi spettatori che non siamo stati capaci di svolgere un ruolo propositivo di mediazione. Anzi, anche se non ce ne rendiamo conto, abbiamo introdotto nel dibattito pubblico posizioni estreme contrapposte che, se ci trovassimo su un campo di battaglia, ci porterebbero a prendere le armi gli uni contro gli altri.

    Oggi, pur nella varietà delle posizioni, ci sono due partiti che fanno un tifo unilaterale per una delle parti in causa contro l’altra. Chi denuncia i massacri di Gaza e si erge a difensore dei diritti dei palestinesi, rimuove i pogrom e gli stupri del 7 ottobre assieme alla sorte degli ostaggi e tace sulle politiche di Hamas, degli Hezbollah e dell’Iran, e persino confonde gli ebrei italiani con gli israeliani. Chi, invece, difende il diritto alla sicurezza di Israele rimuove totalmente la volontà annessionistica della destra israeliana che, in modo speculare ad Hamas, sogna lo Stato ebraico dal Giordano al mare e non si pronuncia sulla catastrofe umanitaria di Gaza.

    Non ce ne accorgiamo, ma questa guerra ha effetti negativi su di noi e inquina il nostro modo di pensare. Essere europei significa custodire e diffondere ovunque alcune idee fondamentali: la pace e la non violenza nei rapporti politici, il valore della democrazia e del dialogo, la difesa dei diritti dell’uomo e della sovranità delle nazioni mai a scapito degli altri, il principio della sacralità della vita per ogni essere umano in qualsiasi circostanza si trovi. Ebbene, in questo conflitto questi valori da diffondere sembrano evaporare da un giorno all’altro.

    In questo conflitto è venuto a mancare quello che, in termini calcistici, il compianto direttore della Gazzetta Candido Cannavò aveva chiamato “tifo positivo”, cioè quando in una partita di calcio non si tifa per la distruzione dell’altra squadra, ma per l’amicizia e il bel gioco. Invece di tifare per i guerrieri che auspicano la vittoria definitiva sul nemico, ci si dovrebbe schierare con coloro che, all’interno dei campi contrapposti, sono capaci di superare la propria appartenenza e che, guardando alla propria comune umanità, sono capaci di creare amicizie politiche e pratiche di pace e di dialogo; persino prodigandosi per salvare coloro che sono dipinti come nemici. Pensiamo agli arabi israeliani come l’autista Youssef Ziadna, che ha salvato trenta israeliani durante il rave Nova del 7 ottobre, o ai medici israeliani che in tutti questi anni hanno continuato a curare i bambini di Gaza, oppure ai palestinesi e israeliani che vivono nel villaggio di Neve Shalom Wahat al-Salam e che cercano di dimostrare da quarant’anni che la convivenza è una possibilità concreta e fattibile.

    Sono costoro con le proprie esperienze positive che hanno in mano le chiavi della pace e della conciliazione. Per due motivi. Qualsiasi possibile soluzione al conflitto, che sia la costruzione di due Stati amici e non più contrapposti, di una Federazione israeliano-palestinese o persino di un utopico Paese con una cittadinanza comune, non si può basare su una imposizione militare, ma necessita di un lungo lavoro dal basso che crei le condizioni della fiducia reciproca.

    Leggi il commento completo pubblicato da "Il Segno" su www.chiesadimilano.it

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