In occasione dei dieci anni del Villaggio della Pace, iniziativa di Culture Ticino Network dedicata alla promozione del dialogo e della nonviolenza, il 22 novembre si è svolta all’Hotel de la Paix una serata speciale con la presenza dell’arcivescovo nigeriano mons. Fortunatus Nwachukwu, diplomatico vaticano, in dialogo con la giornalista di guerra Lucia Vastano e altri ospiti. L’incontro, moderato da Antonio Franzi, ha riunito voci diverse accomunate dalla ricerca di un cammino concreto di pace.
A introdurre l’evento è stata la lettura del Manifesto per la pace da parte di due bambine: un richiamo semplice e potente al valore dei piccoli gesti quotidiani – rispetto, ascolto, empatia – che costruiscono ciò che i grandi della Terra spesso faticano a custodire. Un messaggio diretto a tutti: la pace non nasce dalle proclamazioni, ma da ciò che scegliamo di fare con chi ci vive accanto.
Piera Levi-Montalcini, nipote della scienziata Rita, ha ricordato come l’umanità, pur tra contraddizioni e conflitti, abbia saputo progredire: “La speranza non deve morire. Le risorse che possediamo possono diventare strumenti di unione, se impariamo a usarle per il bene”. Anche la cantante Iris Moné ha portato il suo contributo artistico, parlando della luce che nelle sue canzoni vince sempre sul buio: un seme di fiducia che continua a germogliare.
Il cuore della serata è stato l’intervento dell’arcivescovo Nwachukwu, che ha proposto un’immagine sorprendente e incisiva: quella del selfie. Guardando alla Bibbia, ha spiegato, l’essere umano nasce come immagine di Dio, chiamato a riflettere il suo volto come uno specchio orientato verso il cielo. Ma nel peccato delle origini, lo specchio si gira e l’uomo comincia a guardare solo sé stesso. “È il passaggio dal teocentrismo all’egocentrismo: l’umanità smette di riflettere Dio e inizia a scattarsi selfie spirituali. È lì che la violenza entra nella storia”. La via della pace, dunque, non è un’utopia politica, ma un ritorno all’umiltà: rimettere Dio al centro per imparare ad amare come Gesù, che guarda sempre all’altro prima di sé.
Un collegamento video da Roma ha portato la voce del regista Fabio Segatori, autore del docu-film su padre Paolo Dall’Oglio. Segatori ha ricordato come la pace sia un movimento, non uno stato: un cammino che nasce dal superamento dei propri limiti e che padre Paolo ha testimoniato trasformando un rudere siriano in un luogo di incontro tra culture e religioni.
Della figura del gesuita ha parlato anche la sorella Francesca, sottolineando come il suo messaggio vada oltre la sua scomparsa: “La pace si costruisce ogni giorno, nella gioia, a partire dall’ascolto dell’altro, anche quando è molto diverso da noi”.
Dalla Siria, padre Jihad, priore di Deir Mar Musa, ha ricordato che la pace non si conquista con strumenti esterni, ma liberando il cuore da paure e pregiudizi: “La pace si fa con il nemico. E inizia dentro di noi”. Lucia Vastano, infine, ha invitato a scegliere la nonviolenza come cammino quotidiano: non un’ingenuità, ma una lotta consapevole contro l’ignoranza e l’indifferenza.
La serata si è conclusa con una cena di gala animata da musica e performance artistiche. Un momento conviviale che ha reso tangibile ciò che gli ospiti hanno ripetuto durante tutta la serata: la pace non è un’idea astratta, ma un incontro. E comincia quando smettiamo di guardarci allo specchio – o di scattarci selfie – per tornare a riconoscere il volto dell’altro.
Fiaccolata della pace e consegna di una piantina al Liceo Diocesano
Il giorno successivo, 23 novembre, si è svolta anche la Fiaccolata della pace da Piazza Riforma alla Cattedrale di Lugano, che ha coinciso con il Giubileo diocesano per la pace. In seguito è stata celebrata la Santa Messa, presieduta da mons. Alain de Raemy e dall’arcivescovo nigeriano mons. Fortunatus Nwachukwu, diplomatico vaticano.
In questo contesto, gli organizzatori hanno consegnato al Liceo Diocesano (in realtà la vera e propria consegna avverrà questa primavera) una piantina, germinata da uno dei semi degli alberi sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, che vengono proposti dal "Green Legacy Hiroshima" come "Alberi della pace", testimoni di capacità di ripresa e di rigenerazione, ma anche come elemento di riflessione per due visioni dello stesso episodio: il pericolo rappresentato dalle armi di distruzione di massa e il carattere sacro dell'umanità e della natura.
Alla cerimonia, tenutasi nel patio del Municipio di Lugano (dal quale è in seguito partita la fiaccolata), erano presenti, oltre alla responsabile degli organizzatori Margherita Maffeis, l'Amministratore apostolico della Diocesi di Lugano Mons. Alain de Raemy, il municipale di Lugano Raoul Ghisletta, che ha portato il saluto della città e il sindaco del comune di Laveno-Ponte Tresa.
“Trovo particolarmente interessante il fatto di donare questo simbolo a una scuola”, ha sottolineato Roberto Poretti, vice-presidente della Fondazione Liceo Diocesano, nel suo intervento. “Lo vedo come un forte e significativo messaggio al mondo dell’educazione. Infatti, a ottant’anni di distanza dai tragici eventi di Hiroshima e Nagasaki, l’attenzione per quanto successo, soprattutto da parte delle generazioni più recenti, viene meno e la gravità dei fatti si stempera piano piano, proprio mentre la minaccia di ricorrere all’uso guerrafondaio del nucleare viene evocata dai potenti di turno. È pertanto importante tenere più che sveglia la memoria storica di quanto successo”.
Dennis Pellegrini / catt.ch