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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (30 maggio 2025)
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  • Gaza

    Il parroco di Gaza: "Gli aiuti arrivano con il contagocce"

    “Riposa in pace”. Con queste parole padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina della Sacra famiglia di Gaza, accompagna una foto pubblicata sui social che ritrae un giovane padre, nel sedile posteriore di un’auto, con in braccio il corpicino di suo figlio, avvolto in un lenzuolo bianco, un vero e proprio sudario, come quelli che si vedono nelle immagini dei bambini morti nella guerra di Gaza.  La foto, scattata a Gaza City, porta la data del 25 maggio scorso e fissa tutta la condizione dei gazawi. Drammatica la denuncia dell’Unicef arrivata nel 600° giorno di guerra, per bocca del suo direttore per il Medio Oriente e il Nord Africa, Edouard Beigbeder:

    “Dalla fine del cessate il fuoco, il 18 marzo, secondo le notizie, 1.309 bambini sono stati uccisi e 3.738 feriti. Nel giro di 72 ore, lo scorso fine settimana, le immagini di due orribili attacchi forniscono ulteriori prove dell’inconcepibile costo di questa guerra spietata contro i bambini nella Striscia di Gaza.

    Questi bambini fanno ora parte di un lungo e straziante elenco di orrori inimmaginabili: le gravi violazioni contro i bambini, il blocco degli aiuti, la fame, il costante sfollamento forzato e la distruzione di ospedali, sistemi idrici, scuole e case. In sostanza, la distruzione della vita stessa nella Striscia di Gaza. I bambini di Gaza hanno bisogno di protezione, di cibo, acqua, medicine e di un cessate il fuoco”.

    A Gaza

    “Nelle ultime ore ci sono state 79 vittime dei bombardamenti, oltre cento i feriti. Tantissime persone sono sotto le macerie. Nel sud della Striscia gli aiuti vengono distribuiti con il contagocce” afferma padre Romanelli. Parole confermate dai video postati sui social che arrivano dalla Striscia che mostrano migliaia di sfollati allo stremo prendere d’assalto uno dei centri di distribuzione aperti a Rafah nell’ambito del piano di aiuti gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), voluta da Stati Uniti e Israele ma osteggiata dalle organizzazioni umanitarie e dall’Onu del tutto contrarie alla militarizzazione degli aiuti. Per il capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) Philippe Lazzarini, “il nuovo modello di distribuzione degli aiuti a Gaza organizzato dagli Stati Uniti è uno spreco di risorse e una distrazione dalle atrocità che si stanno commettendo nella Striscia. Abbiamo già un sistema di distribuzione degli aiuti adatto allo scopo. La comunità umanitaria di Gaza, compresa l’Unrwa, è pronta”. I media israeliani riportano un comunicato del Cogat, il coordinamento israeliano per gli aiuti alla Striscia che ha annunciato che 95 camion carichi di aiuti umanitari sono entrati ieri, 27 maggio, a Gaza. Dalla scorsa settimana, da quando Israele ha ripreso le consegne di aiuti a Gaza, dopo lo stop delle forniture datato 2 marzo, sarebbero 755 i camion di aiuti (cibo, attrezzature mediche e farmaci) entrati nell’enclave palestinese attraverso il valico di Kerem Shalom. “Una goccia nell’oceano dei bisogni della popolazione gazawa” rimarca Caritas Jerusalem.

    In Israele

    Cresce anche la pressione sul Governo israeliano. Il quotidiano Haaretz questa mattina riporta la notizia che i familiari degli ostaggi israeliani ancora detenuti nella Striscia di Gaza hanno bloccato un’importante strada nel centro di Tel Aviv, chiedendo un accordo complessivo che garantisca la liberazione di tutti i prigionieri e la fine del conflitto. “Da 600 giorni siamo senza i nostri cari, mentre il governo israeliano li abbandona per preservare la propria coalizione”, si legge nella dichiarazione dei manifestanti, che accusano direttamente il primo ministro Netanyahu e i suoi alleati Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir di preferire l’occupazione di Gaza al salvataggio degli ostaggi. Secondo le famiglie, il governo non avrebbe mai avanzato una proposta seria per la loro liberazione e sta adottando una strategia di rilascio selettivo, condannando alcuni ostaggi ‘a vita o a morte’”. Sempre di Haaretz è la notizia che militari israeliani, riservisti e in servizio, stanno preparando una nuova lettera aperta, finora sottoscritta da 1200 persone, per chiedere al governo e al capo di Stato maggiore Eyal Zamir di porre fine alla guerra a Gaza, sostenendo che si tratta di un conflitto che “non serve alla sicurezza nazionale di Israele ed è quindi immorale. Continuare la guerra va contro la volontà della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, provocherà la morte di ostaggi, soldati dell’Idf e civili innocenti e potrebbe persino portare a commettere crimini di guerra”.

    Finestra di speranza.

    E come accade regolarmente dal 7 ottobre del 2023 a invocare la fine del conflitto è anche la piccola comunità cristiana di Gaza. In un video pubblicato oggi sui social della parrocchia, padre Romanelli condivide una riflessione sulla speranza in Dio: “Dobbiamo ricordare sempre che – ogni momento, ogni situazione che ci troviamo a vivere, come quella di questi mesi a Gaza – Dio è fedele e che c’è sempre una finestra di speranza. Quella finestra aperta che, nei ricordi del seminario in Argentina, era dipinta su un quadro dell’Annunciazione e catturava la mia attenzione.

    agenziasir/red

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