di Lucienne Bittar/cath.ch (traduzione e adattamento redazionecatt)
La svizzera Helena Jeppesen, delegata europea all'Assemblea sinodale di Roma, non teme il lungo cammino che la attende. Appena consegnato il Documento finale, è già ai blocchi di partenza per il resto del percorso sinodale che si svolgerà in Svizzera.
Velocità e produttività sono i valori del nostro tempo. Rumore e chiacchiere sono ovunque. Il percorso sinodale, basato sull'ascolto e sul discernimento comune, segue una linea completamente diversa.
La sua formazione professionale l'ha aiutata a viverlo con pazienza?
Helena Jeppesen: Assolutamente sì. Lavoro con Azione Quaresimale da oltre 20 anni e sono stata coinvolta in reti di leader cattolici e attivisti per i diritti umani, in particolare nelle Filippine. Sono quindi abituata ai processi “politici” e ai negoziati internazionali. È un lavoro complicato, incentrato sul lungo termine, in cui sono in gioco interessi importanti e talvolta contrastanti. Si fanno due passi avanti e uno indietro. Questo mi permette di accettare che le cose si muovano molto lentamente. Ma si muovono.
Lei è abituata alle grandi strutture, ma è anche un'attivista di base. Durante il Sinodo si è guadagnata una reputazione nei media come partecipante schietta, in particolare per quanto riguarda la causa delle donne. La CNN, il New York Times, l'ARD… si sono interessati a lei. Lei si sente più libera di altri membri dell'Assemblea?
Lavoro per Azione Quaresimale in Svizzera, ma non riferisco direttamente alla Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS). Non sono una loro dipendente e non ho paura di perdere il lavoro. Ho conosciuto teologhe professoresse di università pontificie che sono meno libere di esprimersi di me. Inoltre, vivo in Svizzera, un Paese democratico dove le questioni gerarchiche sono meno accentuate.
Alla conferenza stampa organizzata dalla Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS) il 27 ottobre 2024, lei ha espresso il suo entusiasmo per il fatto che il Papa abbia deciso di firmare il documento finale dell'Assemblea, senza scrivere di suo pugno un'esortazione apostolica post-sinodale, come si è fatto le altre volte. Perché ritiene che questo sia positivo?
Abbiamo lavorato fin dall'inizio sapendo che il Papa sarebbe rimasto libero di fare o non fare tale Esortazione e di deciderne il contenuto. Ma la sua decisione è stata una bellissima sorpresa. Penso che sia meraviglioso che abbia deciso di approvare il nostro documento così com'è, e di incorporare immediatamente nel magistero i frutti di questo lungo processo di discernimento. Questo dimostra che anche il Papa sta seguendo il processo sinodale, ed è un forte segno di cambiamento. Nel 2019 ho accompagnato i partner latinoamericani di Azione Quaresimale al Sinodo sull'Amazzonia. L'esortazione apostolica post-sinodale del Papa, Querida Amazonia, non ha ripreso tutte le conclusioni dell'Assemblea. E siamo rimasti con l'idea che “il Papa può cambiare tutto alla fine”. Dal mio punto di vista, ha commesso un errore, ma negli ultimi cinque anni si è evoluto.
Va detto che il Papa ha anche tolto dai dibattiti dell'Assemblea sinodale le questioni più scottanti, come l'accesso delle donne all'ordinazione, per affidarle a gruppi di esperti…
È vero, ma ha accettato il Documento finale nella sua interezza, compreso l'articolo 60 (n.d.r quello relativo alle donne), che ha ricevuto il punteggio più basso dell'Assemblea (97 voti contrari). Questo punto dice chiaramente che la questione dell'accesso delle donne al ministero diaconale rimane aperta. Mi piacerebbe vedere un maggior numero di donne nominate coordinatrici parrocchiali o responsabili di unità pastorali in Svizzera. Questo avviene nelle diocesi di Basilea, San Gallo e Coira, ma meno nella Svizzera francese . Fanno le stesse cose dei preti, a parte la celebrazione eucaristica e le confessioni. Hanno il diritto di battezzare, di celebrare matrimoni e di tenere celebrazioni della Parola. In breve, sono già diaconi.
L'idea di un possibile diaconato femminile è stata accettata meglio dai laici e dalle donne dell'Assemblea del Sinodo che dal clero presente?
Certamente, ma ci sono stati anche religiosi e sacerdoti che l'hanno sostenuta, altrimenti ci sarebbero stati più voti contrari.
In generale, noi laici abbiamo in comune la sensazione di essere spesso ancora esclusi dalle responsabilità nella Chiesa, il che crea solidarietà tra di noi. Ma soprattutto ho percepito un grande senso di solidarietà tra tutte le donne, basato su esperienze comuni. L'attuale modello liturgico, ad esempio, non dà alle donne il posto che spetta loro. Lo si vede chiaramente a Roma, con cardinali e vescovi seduti nei “posti davanti” e gli altri dietro in sedie meno comode. Le suore lo sperimentano continuamente.
Insieme alla romanda Claire Jonard, lei fa parte della Commissione del Sinodo svizzero. Quali compiti vi attendono?
La cosa più difficile e il Papa lo ha detto chiaramente, è comunicare questa esperienza sinodale che abbiamo vissuto per tre anni e in modo molto profondo in quest'ultimo mese a Roma. Il Documento finale non può essere presentato correttamente senza fare riferimento a questa esperienza. Questa è la nuova missione che ci attende. Il vescovo Felix Gmur, da parte sua, dovrà ora riferire di questa esperienza ai vescovi della Svizzera. Non è così semplice (cath.ch/lb/traduzione e adattamento catt.ch)
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Le proposte, al concorso indetto ogni anno dalla Conferenza dei vescovi svizzeri, possono essere inoltrare fino al 15 gennaio.