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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (24 dicembre 2025)
  • Mons. Alain De Raemy vicino ad un Presepe al Sacro Cuore di Bellinzona

    «Quando l’uomo si allontana, allora Dio si avvicina»

    di mons. Alain de Raemy*

    Se Dio è davvero Dio, allora, e ci sembra logico, non avrà limiti. La divinità è per definizione al di là di tutte le contingenze. Non si lascia limitare da niente, tutto supera, Dio è trascendente. A differenza dell’uomo. L’essere umano è mortale, vulnerabile, fragile. L’umanità sarebbe dunque proprio all’opposto della divinità, tutt’altro. Sembra dunque che fra Dio e l’uomo ci sia incompatibilità.

    Gesù, Dio con noi

    Ma da duemila anni, i discepoli di Gesù pretendono altro. Affermano senza mezzi termini: chi vede Gesù vede Dio. Il Nazareno che ha per nome Gesù viene pure chiamato Emmanuele: Dio con noi. E l’evangelista Giovanni comincia il suo racconto con le parole: «Il Verbo si fece carne», cioè Dio si è fatto uomo.

    Nel 325, millesettecento anni fa, il Concilio di Nicea, convocato da Costantino, l’imperatore che per primo diede spazio ai cristiani nell’Impero Romano, riprende, precisa e conferma la professione di fede che veniva già sistematicamente proclamata dai neobattezzati: «Gesù è Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre e per lui tutte le cose sono state create ». La fede cristiana rivoluziona l’idea che ci facciamo di Dio. Il nostro Credo abolisce l’abisso tra divinità e umanità, ma non diluisce la divinità nell’umanità. La fede presenta Dio in persona, in un uomo solo. L’infinita maestà divina si assume un singolo essere umano, senza cambiare la sua divinità, senza abolire l’assunta umanità. Dio e uomo sono concretamente diventati incredibilmente compatibili.

    L’uomo creato a immagine di Dio

    È vero che molti avevano intuito che c’era qualcosa di Dio nell’uomo. La Bibbia in particolare recita nel Libro della Genesi: a sua immagine, uomo e donna Egli li creò. Il «marchio» di Dio segna la dignità dell’uomo. Ma questa non si rispecchia tutta nel singolo. Non basta il maschio, non basta la femmina: solo la loro complementarità esprime la loro unica e comune origine, la loro divina originalità. Dio è per così dire troppo grande perché venga rispecchiato nel solo maschio o nella sola femmina, il suo mistero lo possono esprimere solo uomo e donna insieme, e mai pienamente, vista la ferita delle origini, che tanto divide!

    Un prodigio unico e irrepetibile

    L’avvicinamento concretissimo di Dio nell’uomo Gesù – nel fatto che la persona del Figlio eterno si assume la natura umana della vita dell’uomo di Nazareth dalla sua concezione –, è un prodigio unico ed irrepetibile. Ma cambia tutto, e per sempre. Immaginate! Una persona divina è stata anche umana. Risuscitata, dimora per sempre umana e divina. In lui la vita umana è stata portata a pieno compimento, anche attraverso tutte le fragilità del suo percorso: dipendenza, ignoranza, crescita, fame, sete, paura, lacrime, fatica, sofferenza, angoscia e morte…

    Nulla di umano è escluso da Dio

    Ma tutto vissuto da Cristo in piena coscienza umana ma anche in una piena luce divina. Non c è niente di umano che non sia già compreso e vissuto in lui. E non c’è niente di umano che non attinga a lui: «Tutto quello che fate a uno solo di questi più piccoli, lo fate a me» (cfr. Mt 25,40.45). E così, quando noi separiamo, Dio unisce. Quando noi distinguiamo, lui collega. Quando consideriamo Dio diverso e lontano, è ben più che vicino. Quando ci rallegriamo o ci rattristiamo, non è mai assente. Quando gli altri ci feriscono e quando siamo noi a ferire, è sempre lui che ne viene toccato in croce per amore, portando tutto a risurrezione. In Lui, Dio si avvicina, sempre. La speranza della nostra fede natalizia è la presa di coscienza di un mondo fragile e di un’umanità instabile, ma mai più separati da Dio. Mai più! E per l’eternità.

    *Amministratore apostolico

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