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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (20 dicembre 2025)
  • Spitak: dove il terremoto non ha mai smesso di parlare

    di Chiara Gerosa

    In Armenia il nome Spitak non è solo quello di una città: è una ferita viva. Qui, nel 1988, il terremoto distrusse tutto in pochi secondi, lasciando migliaia di bambini senza casa, senza genitori, senza un futuro immaginabile. Ancora oggi chi arriva in questa parte del Paese, al nord, avverte un silenzio diverso, un misto di resilienza e memoria che si respira in ogni strada. 

    l terremoto che cambiò una missione

    Proprio quel terremoto, avvenuto l’8 dicembre, cambiò anche la storia delle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa. Negli anni Ottanta, Madre Teresa aveva promesso alla Madonna che avrebbe aperto quindici case nell’ex Unione Sovietica, una per ogni mistero del Rosario. Sembrava un sogno impossibile: allora l’URSS era un mondo chiuso, impenetrabile. Poi la terra tremò. E in mezzo alla tragedia, Madre Teresa vide uno spiraglio. Chiese alle autorità sovietiche il permesso di inviare le sue suore a soccorrere i terremotati. Per un miracolo fu accettata, forse non sapevano come affrontare una crisi di quelle proporzioni. Così venne aperta una casa a Mosca, come centro dell’organizzazione, e il giorno dopo fu inaugurata la casa in Armenia.

    Vivere tra le macerie

    Le prime suore arrivarono a Spitak tra macerie e silenzio, vivendo in baracche insieme ai terremotati. Accolsero i piccoli rimasti soli: bambini disabili, spesso gravemente, che nessuna struttura riusciva a seguire. Molti di loro sono ancora lì oggi, ormai adulti. La casa di Spitak è diventata il loro mondo: un luogo essenziale, dove si vive con ciò che c’è e con ciò che manca, dove il futuro non è un programma ma un gesto quotidiano di cura. In questo contesto entra suor Benedetta, tenace superiora proveniente da Olgiate Comasco. Non come protagonista, ma come una delle tante mani che ogni giorno tengono in piedi questo fragile equilibrio. “La nostra missione – dice – è restare. Rimanere dove gli altri non vengono.” Da tredici anni vive tra Spitak e Yerevan, tra adulti che non parlano ma si fanno capire e bambini che respirano grazie a chi li solleva, li gira, li ascolta.
    La capitale ospita l’altra casa: qui arrivano i bambini più piccoli e più malati, quelli che richiedono cure frequenti negli ospedali di Yerevan. Non è un centro medico: è un luogo dove la vita, anche quando dura poco, viene accompagnata con tenerezza. “In molti casi – dice suor Benedetta – non possiamo guarire. Ma possiamo non lasciarli soli.”

    Un’Armenia che resiste

    Visitare queste due case significa capire qualcosa di profondo dell’Armenia: un Paese segnato da tragedie e rinascite, che porta una forza antica nelle sue montagne e una vulnerabilità evidente nelle sue periferie. È un popolo che ricorda, che soffre, che accoglie. A Spitak il terremoto ha distrutto case, ma ha aperto spazi dove la solidarietà è diventata quotidianità. A Yerevan la fragilità dei bambini obbliga a un amore che non fa rumore ma costruisce comunità. E in mezzo a tutto questo ci sono le suore, tra cui suor Benedetta: non eroine, ma donne che vivono accanto ai più fragili affinché nessuna vita sia considerata “troppo poco”.

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