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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (30 aprile 2025)
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  • Fedeli cattolici dell'Amazzonia

    La ricchezza dei popoli indigeni nel pensiero di Bergoglio

    L’interesse di Papa Francesco per i popoli indigeni si è approfondito nel

    tempo. Ed è vero per lui ciò che è vero in generale: «Oggi abbiamo più

    consapevolezza di ciò che significa la ricchezza dei popoli indigeni, proprio

    nell’epoca in cui, sia sotto l’aspetto politico sia sotto quello culturale, li

    si vuole sempre più annullare tramite la globalizzazione, concepita come una

    “sfera”, ovvero una globalizzazione in cui tutto viene uniformato». Papa

    Francesco ha pronunciato queste parole rispondendo a una domanda fattagli da un

    gesuita durante la 36a

    Congregazione generale dell’Ordine nel novembre 2016.

    Il Pontefice ha al cuore di ogni suo discorso e, direi, in generale, al

    cuore della sua visione della Chiesa e del mondo, il «popolo». L’uomo non si

    comprende come “persona” al di fuori di un“popolo”. Anche la Chiesa è

    un popolo, il «popolo fedele di Dio in cammino». Per Francesco «popolo» non è

    solamente «società»: è una categoria storica e mitica e questo non può essere

    spiegato solo in modo «logico». Occorre comprendere la “storia” e il “mito” di

    un popolo.

    In un lungo testo sulla religiosità popolare come inculturazione della fede

    del 19 gennaio 2008, monsignor Bergoglio si soffermava sul tema delle

    popolazioni indigene ricordando le conferenze continentali dei vescovi

    latinoamericani e dei Caraibi. In queste conferenze — a partire da Medellín —

    la Chiesa in America Latina cominciava con quell’incontro «a cercare di capirsi

    e di scoprire la propria missione».

    Monsignor Bergoglio individua nelle popolazioni indigene un punto di

    partenza necessario. Questa affermazione semplice contiene una sfida aperta che

    risponde a una domanda: come una Chiesa è in grado di capire se stessa? Da dove

    deve partire? Scrive monsignor Bergoglio che a Medellín «si riscopriva una

    Chiesa nascosta, composta da reminiscenze di oltre duemilaseicento popoli

    nativi, con le loro innumerevoli lingue e tradizioni». Poi nella Conferenza di

    Santo Domingo si discusse l’unità e la pluralità delle culture indigene,

    afroamericane e meticce e si fecero passi avanti riconoscendo il continente

    latinoamericano come un «continente multietnico e pluriculturale», con una «visione

    del mondo di ciascun popolo». Non solo si accetta, dunque, la pluralità

    culturale e sociale, ma si riconosce la «ininterrotta azione di Dio» in essa.

    Segnalo qui di seguito quattro sfide importanti — tra le tante — che

    l’allora monsignor Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, aveva

    ben chiare e aveva affrontato nella direzione di un approfondimento della

    comprensione dei popoli indigeni e della loro ricchezza. I testi citati si

    possono ritrovare nel volume Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999-2013, Milano, Rizzoli, 2016.

    1. Al di là di un quadro individualista: dall’inconscio al mito. In una conferenza alla XIII Giornata arcidiocesana della

    pastorale sociale (16 ottobre 2010) monsignor Bergoglio affermava: «Nella vita

    di oggi è presente una tendenza sempre più accentuata a esaltare l’individuo. È

    il primato dell’individuo e dei suoi diritti sulla dimensione che vede l’uomo

    come un essere in relazione». La visione individualista può essere rintracciata

    «nell’individualismo possessivo del liberalismo ottocentesco». Ma, scrive

    monsignor Bergoglio, può «anche rispondere alle visioni psicologiste

    dell’inizio del XX secolo che

    hanno assolutizzato l’inconscio come fonte di spiegazione e destino degli

    uomini». Interessante e importante dunque distinguere tra «mito» e «inconscio»,

    dunque, perché quando si parla di popolazioni indigene la distinzione è molto

    importante. E segna il radicale superamento della tentazione individualista. In

    particolare, per monsignor Bergoglio, essere parte di un popolo significa

    partecipare di un’“identità” comune, ma anche avere un senso di appartenenza a

    un “destino” collettivo. Dunque, il popolo non è solo il suo presente, ma è

    anche un futuro. Parlare di popolazioni indigene significa non sono parlare di

    «origini» ma anche di tensione al futuro. Il popolo è un processo, è un “farsi

    popolo”, un «lavoro lento», lo definisce il Papa.

    2. Il ritmo del tempo si forma in base allo spirito. Una seconda sfida è ben illustrata in un

    intervento di monsignor Bergoglio alla plenaria della Pontificia commissione

    per l’America Latina, tenuto a Roma il 18 gennaio 2007. Qui egli afferma un

    altro punto significativo e che può generare interessanti sfide etiche: «Ogni

    cultura ha il suo centro nel tempo, ritmando la vita e le sue espansioni e

    concentrazioni sulle stagioni, sul clima, e organizzando il lavoro, le feste e

    il riposo in armonia con le credenze di ogni popolo». Il tempo è al cuore di

    una cultura. Il ritmo che si sprigiona da una concezione del tempo è il cuore

    pulsante e il ritmo della vita di una popolazione indigena. Anzi, monsignor

    Bergoglio la definisce come parte della «ricerca di un centro» ed è spirituale

    nel senso che «include tutti gli elementi umani, anima e corpo, persona e

    società, cose e valori, momenti e storia [...] tutto». Dunque: ogni popolazione

    trasforma non solo lo spazio ma anche il tempo dandogli forma «in base al suo

    spirito, a ciò che desidera, a ciò che ricorda e a ciò che progetta». La

    gestione del tempo è espressione spirituale di un popolo che tocca la sua

    memoria e il suo futuro.

    3. La visione globale «Dio-uomo-mondo». Una terza sfida è descritta nel testo prima citato del 19

    gennaio 2008. Qui monsignor Bergoglio afferma che l’evangelizzazione delle

    popolazioni indigene deve essere inculturata, cioè occorre rispettarne «le

    espressioni culturali, imparando la loro visione del mondo che della globalità

    Dio-uomo-mondo fa un tutt’uno che impregna le relazioni umane, spirituali e

    trascendenti». Di questa fanno parte ritmi, vesti, musica, cibi, ma anche — a

    esempio — i suoi riti di guarigione, e pure «i contributi dell’ambito rurale e

    l’influenza degli strati sociali urbani emarginati che si raggruppano per

    conservare i loro valori». La visione del mondo propria delle popolazioni

    indigene parla di una globalità «Dio-uomo-mondo» che abbiamo perso.

    4. L’importanza dell’integrazione. Le popolazioni indigene non sono

    masse anonime e passive, ma «soggetto attivo», un «soggetto culturale». Le loro

    culture sono una sfida positiva di comprensione del mondo. «L’America Latina

    irrompe nella storia del mondo cinquecento anni fa, portando la ricchezza delle

    popolazioni indigene e il contributo mutuato dall’Europa», disse in una

    conferenza del 16 ottobre 2010. Questa ricchezza, dunque, entra nel processo di

    costituzione di una identità popolare più ampia. La domanda dunque è: come le

    popolazioni indigene con la loro ricchezza possono entrare nella costruzione di

    un’identità condivisa? La parola chiave qui è «integrazione», uno dei temi

    chiavi del pontificato di Francesco. La sfida dell’integrazione delle

    popolazioni indigene in un quadro nazionale o continentale è determinante.

    Il pensiero di Papa Francesco sulle popolazioni indigene si è molto evoluto

    nei suoi anni di pontificato. Ma sono gli anni del suo servizio pastorale come

    arcivescovo di Buenos Aires che hanno fatto maturare il suo pensiero al

    riguardo. Con la Laudato si’ e la convocazione del Sinodo per

    l’Amazzonia questo interesse è giunto a dare i suoi frutti migliori. Se è

    importante riflettere sul pensiero di Francesco, proprio alla vigilia del

    sinodo è utile mettere in rilievo i quattro elementi frutto della riflessione

    del Pontefice nei suoi anni argentini: il superamento all’individualismo,

    l’importanza del ritmo del tempo per le culture indigene, la visione integrata

    e interconnessa di «Dio-uomo-mondo», l’integrazione delle culture indigene in

    vista di una identità condivisa.

    Antonio Spadaro - Osservatore romano

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