"Israele fermi immediatamente il piano per la completa conquista militare di Gaza". L’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Volker Türk, affida a X l’appello — pressante, ma anche angosciato — della comunità internazionale dopo la decisione del gabinetto di Benjamin Netanyahu di procedere con l’occupazione della Striscia. Un progetto, diventato ufficiale nella notte di ieri dopo una riunione fiume di 10 ore, che, prosegue il rappresentante delle Nazioni Unite, "va contro il pronunciamento della Corte internazionale di Giustizia che chiede a Israele di porre fine all’occupazione il prima possibile»; contrasta con «la realizzazione della soluzione a due Stati concordata" e viola dunque "il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione". Anche perché, è la conclusione, "alla luce di tutte le prove raccolte finora, questa ulteriore escalation provocherà ulteriori sfollamenti di massa, ulteriori uccisioni, ulteriori sofferenze intollerabili, distruzioni insensate e crimini atroci". Insomma, renderà ancora più drammatica una situazione che nella Striscia è diventata ormai insostenibile per la popolazione, provata da 23 mesi di barbarie. Un grido d’allarme, quello dell’Onu, che si rivolge anche a entrambe le parti in conflitto affinché trovino il modo di tornare al tavolo negoziale ponendo subito fine a una guerra che ha reso l’enclave un cumulo di macerie, di morti e di disperazione.
Il gabinetto israeliano: via libera al piano di occupazione di Gaza
Ma l’esecutivo Netanyahu ha più volte dimostrato di non voler credere ad altra soluzione se non il controllo totale della Striscia, anche sulla scia delle pressioni dei ministri appartenenti alla destra religiosa estremista. Le indiscrezioni fatte filtrare dall’entourage del premier israeliano nei giorni scorsi hanno trovato ieri un’esplicitazione concreta nel piano votato «a maggioranza», che prevede l’accerchiamento di Gaza City e il trasferimento forzato di circa un milione di residenti nella parte meridionale del territorio palestinese, con un timing simbolico nella sua tragicità, ovvero entro il 7 ottobre. Un’operazione complicata anche dal punto di vista logistico, perché comporta lo sfollamento di centiania di migliaia di feriti e persone che necessitano di cure speciali e che, per muoversi, avrebbero bisogno di supporto e assistenza particolari. Da Tel Aviv però tirano dritto fissando cinque i "principi per porre fine alla guerra": disarmo totale di Hamas; restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o deceduti; smilitarizzazione della Striscia; controllo di sicurezza israeliano; istituzione di un governo civile alternativo a Hamas, ma anche all’Autorità palestinese, e che quindi ricadrebbe su altre "forze arabe". Non un’annessione, ma «un regime militare» di controllo, dice Netanyahu.
Lo scontro tra governo ed esercito
Oltre alla prevedibile reazione di Hamas ("l’aggressione avrà un prezzo doloroso"), la decisione ha provocato durissimi scontri verbali anche tra rappresentanti dei diversi poteri istituzionali. Il capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, ieri ha espresso la sua contrarietà al piano dichiarando, in risposta al ministro Itamar Ben-Gvir che gli intimava di adeguarsi sempre alle decisioni della politica, di voler continuare a esprimere le proprie posizioni di dissenso "senza timore2, e confessando che "la conquista della Striscia trascinerà Israele in un buco nero". Accese le proteste delle famiglie degli ostaggi, che oltre ad aver manifestato nelle piazze e, ieri, anche in mare aperto su una flottiglia partita da Ashkelon verso il confine marittimo con la Striscia, hanno accusato Netanyahu di aver "condannato a morte" i loro cari.
Il leader dell'opposizione Lapid: "Un disastro" che fa il gioco di Hamas
"Un disastro" lo ha definito il leader dell’opposizione, Yair Lapid, che porterà "alla morte degli ostaggi, all’uccisione di molti soldati, costerà decine di miliardi e porterà a un collasso diplomatico". Ovvero, "esattamente quello che voleva Hamas": "intrappolare sul campo Israele senza uno scopo".
Le reazioni del mondo internazionale
Diverse le prese di posizione in tutto il mondo della politica internazionale. "Profonda preoccupazione" poi viene espressa da Pechino, con il portavoce del ministero degli Esteri cinese, che dichiara anche: "Gaza appartiene al popolo palestinese ed è parte integrante del territorio palestinese". La Turchia, attraverso una nota del ministero degli Esteri, si rivolge direttamente alla comunità internazionale, invitandola "ad assumersi le proprie responsabilità per impedire l'attuazione di questa decisione, che punta allo sfollamento forzato dei palestinesi dalla loro terra" e che costituisce "un duro colpo alla pace e alla sicurezza". E anche L'Arabia Saudita condanna "con la massima fermezza" la decisione di Tel Aviv, denunciando la "persistenza nel commettere crimini di fame, pratiche brutali e pulizia etnica" contro
il popolo palestinese. Mentre di "un crimine a pieno titolo in violazione del diritto internazionale" che "causerà una catastrofe umanitaria senza precedenti", parla l'ufficio del presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, accusando Israele di proseguire in una politica di "genocidio e carestia" e rivolgendosi al presidente Usa, Donald Trump, affinché spinga per una soluzione di "pace permanente".
Berlino sospende l'invio di armi a Israele
Che Israele "riconsideri la sua decisione" lo chiede la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. In un post su X - oltre ad auspicare un immediato cessate-il-fuoco - von der Leyen scrive come sia pure "necessario il rilascio di tutti gli ostaggi, trattenuti in condizioni disumane", e come gli aiuti umanitari debbano "avere accesso immediato e senza restrizioni a Gaza per fornire ciò di cui c'è urgente bisogno sul campo". E se il premier britannico, Keir Starmer, parla di "piano sbagliato" da parte di Israele, il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, decide di bloccare le esportazioni dalla Germania di equipaggiamenti militari che potrebbero essere utilizzati a Gaza "fino a nuovo avviso".
L'Oms: a Gaza il più alto tasso di malnutrizione acuta infantile
A Gaza intanto si continua a morire e a soffrire per la fame. Nel mese di luglio si è registrato il più alto tasso mensile di malnutrizione acuta infantile (12.000 bambini sotto i cinque anni), con un aumento dei decessi legati all’assenza di viveri, fa sapere l’Oms.
Vaticannews