In un’intervista apparsa oggi sul Corriere del Ticino, mons. Alain de Raemy parla dei suoi primi 10 mesi quale Amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, di cambiamento, delle sfide della chiesa ticinese e di quelle rappresentate dall’allontanamento della popolazione dalle religioni tradizionali, del messaggio per la tradizionale Santa Messa sul San Gottardo per il 1° di agosto.
Da quasi dieci mesi, monsignor Alain de Raemy è l’amministratore apostolico della diocesi di Lugano. Incarico al quale è stato chiamato da papa Francesco il 10 ottobre dello scorso anno, subito dopo le dimissioni di monsignor Valerio Lazzeri. Un passaggio traumatico, sicuramente inatteso, che il prelato friburghese ha saputo ben interpretare conquistando la fiducia di molti fedeli. Alcuni di questi fedeli hanno addirittura pensato che monsignor de Raemy potesse essere l’uomo giusto per guidare la diocesi, e hanno quindi raccolto le firme per chiedere la modifica della regola che impone la nomina a Lugano di un vescovo scelto tra i sacerdoti ticinesi.
Domani, come da tradizione, monsignor de Raemy celebrerà la messa al passo del San Gottardo. Per lui sarà l’occasione – forse l’unica – per inviare a tutti i cittadini del cantone un messaggio in occasione della Festa nazionale.
Monsignor de Raemy, se la sente di fare un bilancio del suo incarico di amministratore apostolico della diocesi di Lugano? Quali sono state le maggiori difficoltà che ha dovuto affrontare in questi mesi? E quali le sorprese più positive?
«Per conoscere bene una situazione e le sfide che pone, non bastano quasi 10 mesi. È dunque difficile per me fare un bilancio esaustivo, anche soltanto parlando del mio incarico. Potrei, questo sì, indicare qualche difficoltà riscontrata. Ma preferisco cominciare con le cose positive. Ad esempio, l’accoglienza a cuore aperto della popolazione, e non solo quella nelle parrocchie o nelle istituzioni ecclesiali. Mi sono trovato ovunque e da subito inserito, accolto nella vita locale della Chiesa e della società, senza mai sentirmi “un corpo estraneo”. Nell’ambito ecclesiale c’è la fede che unisce spontaneamente e soprannaturalmente, mentre nell’ambiente sociale svizzero-latino ci sono similitudini con la Spagna e l’Italia, Paesi che conosco benissimo, o con il per me più familiare Vallese. Ritornando alle difficoltà, la principale è forse quella di non poter andare fino in fondo quando si tratta di sfide da affrontare con delle decisioni puntuali. Da amministratore provvisorio quale sono, non spetta a me cambiare cose, ma allo stesso tempo neanche stare a guardare senza muovermi. Preciso subito, però, che non è compito esclusivo del vescovo cambiare le cose: tutto viene fatto in modo sinodale, ossia partecipativo».