Come essere Chiesa sinodale missionaria? È questo l’interrogativo di fondo da cui parte l’Instrumentum laboris (IL) della prossima sessione del Sinodo dei vescovi, in programma dal 2 al 27 ottobre sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, la seconda della XVI Assemblea generale ordinaria, dopo quella del 2023. Il documento raccoglie i frutti dello scorso anno, integrandoli con gli esiti di altri incontri, come quello internazionale dei parroci (svoltosi a Sacrofano, in provincia di Roma, dal 29 aprile al 2 maggio scorsi) e quelli dei dieci gruppi di studio che, su incarico del Papa, hanno approfondito alcune tematiche emerse dal Sinodo del 2023. L’IL – pubblicato oggi, martedì 9 luglio, e presentato presso la Sala stampa della Santa Sede - non offre alcuna “riposta prefabbricata”, bensì “indicazioni e proposte” sul modo in cui la Chiesa, nel suo insieme, può e potrà rispondere “all’esigenza di essere ‘sinodale in missione’”, cioè una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica, che sia casa e famiglia di Dio, in cui tutti i battezzati siano corresponsabili e partecipi alla sua vita nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli.
Il documento è strutturato in cinque sezioni: introduzione, fondamenti e tre parti centrali. L’introduzione fa memoria del cammino percorso finora e ne evidenzia i traguardi già raggiunti, come l’uso diffuso della metodologia sinodale della Conversazione nello Spirito. Seguono i fondamenti (n. 1-18) che si soffermano sulla comprensione della sinodalità, vista come un cammino di conversione e di riforma. In un mondo segnato da divisioni e conflitti, si sottolinea, la Chiesa è chiamata ad essere segno di unità, strumento di riconciliazione e di ascolto per tutti, specialmente per i poveri, gli emarginati, le minoranze tagliate fuori dal potere. “Come la luna – si legge nell’IL -, la Chiesa brilla di luce riflessa: non può intendere la propria missione in senso autoreferenziale, ma riceve la responsabilità di essere il sacramento dei legami, delle relazioni e della comunione in vista dell’unità di tutto il genere umano” (n. 4). Ribadendo, poi, che “la sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai pastori” (n. 8), il documento sottolinea che “la sinodalità non è fine a sé stessa” e richiama il legame tra essa e la missione, “intimamente congiunte” (n. 9).
I fondamenti danno anche ampio spazio (n.13-18) alla riflessione sul ruolo delle donne in tutti gli ambiti della vita della Chiesa, evidenziando “la necessità di dare un riconoscimento più pieno” ai loro carismi e alla loro vocazione. “Dio ha scelto alcune donne come prime testimoni e annunciatrici della risurrezione”, ricorda l’IL; esse, dunque, “in forza del Battesimo sono in condizione di piena uguaglianza, ricevono la medesima effusione di doni da parte dello Spirito e sono chiamate al servizio della missione di Cristo”. Il primo cambiamento da operare, dunque “è quello della mentalità”, con “una conversione a una visione di relazionalità, interdipendenza e reciprocità tra donne e uomini, che sono sorelle e fratelli in Cristo, in vista della comune missione”.
In alcune culture, emerge dall’IL, “permane forte la presenza del maschilismo”; per questo, alla seconda sessione sinodale si chiede “una più ampia partecipazione delle donne nei processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali” insieme a “un più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche”, nonché nei seminari, negli istituti, nelle facoltà teologiche e “nel ruolo di giudice nei processi canonici”. I suggerimenti riguardano anche le consacrate, per le quali si auspica “un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno” alla loro vita e ai loro carismi, insieme al “loro impiego in posizioni di responsabilità”.
Quanto all’ammissione delle donne al ministero diaconale, l’IL riporta che essa viene richiesta da “alcune Chiese locali”, mentre altre “ribadiscono la loro contrarietà” (n. 17). Il tema, si evidenzia, “non sarà oggetto dei lavori” del prossimo ottobre e pertanto è bene che “prosegua la riflessione teologica”. Ad ogni modo, la riflessione sul ruolo delle donne “evidenzia il desiderio di un rafforzamento di tutti i ministeri esercitati dai laici”, per i quali si richiede che “adeguatamente formati possano contribuire alla predicazione della Parola di Dio anche durante la celebrazione dell’Eucaristia” (n. 18).
Dopo l’introduzione e i fondamenti, l’IL si sofferma sulle relazioni(n. 22-50) che permettono alla Chiesa di essere sinodale in missione, ovvero le relazioni con Dio Padre, tra i fratelli e le sorelle e tra le Chiese. Carismi, ministeri e ministeri ordinati sono dunque essenziali in un mondo e per un mondo che, fra tante contraddizioni, è alla ricerca di giustizia, pace e speranza. Dalle Chiese locali emerge inoltre la voce dei giovani che richiedono una Chiesa non di strutture, né di burocrazia, bensì fondata su relazioni che suscitano e si vivono in dinamiche e percorsi. In quest’ottica, l’Assemblea di ottobre potrà analizzare la proposta di dare vita a nuovi ministeri, come quello “dell’ascolto e dell’accompagnamento”. “Serve una ‘porta aperta’ della comunità – spiega il testo -, attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate” (n. 34).
Tali relazioni andranno poi sviluppate cristianamente lungo percorsi (n. 51-79) adeguati e contestualizzati, perché “non c’è missione senza contesto, non c’è Chiesa senza radicamento in un luogo preciso” (n. 53). Fondamentali saranno dunque la formazione e il “discernimento comunitario” che permette alle Chiese di prendere decisioni opportune, articolando la responsabilità e la partecipazione di tutti. Evidenziando, poi, che "la famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana", l'IL afferma che "nell’intreccio delle generazioni è scuola di sinodalità. Tutti, i deboli e i forti, i bambini, i giovani e gli anziani, hanno molto da ricevere e molto da dare" (n. 55).
Ma tra i percorsi da seguire ci sono anche quelli che permettono a quanti hanno responsabilità ecclesiali di rendere conto con trasparenza del loro operato per il bene e la missione della Chiesa. “Una Chiesa sinodale ha bisogno di cultura e pratica della trasparenza e del rendiconto (accountability) – si legge nell’IL - che sono indispensabili per promuovere la fiducia reciproca necessaria per camminare insieme ed esercitare la corresponsabilità per la comune missione” (n. 73).
Ricordando poi che “il rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica, risalendo alla Chiesa apostolica” (n. 74), il documento di lavoro sottolinea che oggi “la richiesta di trasparenza e rendiconto nella Chiesa e da parte della Chiesa si è imposta a seguito della perdita di credibilità dovuta agli scandali finanziari e soprattutto agli abusi sessuali e di altro genere su minori e persone vulnerabili. La mancanza di trasparenza e di forme di rendiconto alimenta il clericalismo” (n. 75), il quale si fonda erroneamente sull’assunto che i ministri ordinati non debbano rendere conto a nessuno dell’esercizio della loro autorità.
Rendiconto e trasparenza, insiste l’IL, riguardano tutti i livelli della Chiesa e non si limitano all’ambito degli abusi sessuali e finanziari, bensì toccano anche “i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni” (n. 76). Di qui, il richiamo a “necessarie strutture e forme di valutazione – intesa in senso non moralistico - del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere” (n. 77). Al riguardo, il documento ricorda la necessità che la Chiesa garantisca, ad esempio, la pubblicazione di un rendiconto annuale sia sulla gestione di beni e risorse, sia sullo svolgimento della missione, inclusa “una illustrazione delle iniziative intraprese in materia di safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso delle donne a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali” (n. 79).
L’IL analizza, poi, i luoghi(n. 80-108) in cui prendono forma relazioni e percorsi. Luoghi da intendersi non semplicemente come spazi, quanto piuttosto come contesti concreti, caratterizzati da culture e dinamismi della condizione umana. Invitando a superare una visione statica e un’immagine piramidale delle relazioni e delle esperienze ecclesiali, il documento di lavoro ne riconosce piuttosto la varietà e la pluralità, le quali consentono alla Chiesa - una e universale - di vivere in circolarità dinamica “nei luoghi e dai luoghi”, senza cadere né nei particolarismi, né nell’appiattimento. Anzi: è proprio in questo orizzonte così delineato che vanno inseriti i grandi temi del dialogo ecumenico, interreligioso e con le culture. In questo contesto, si inserisce anche la ricerca di forme di esercizio del ministero petrino aperte alla “situazione nuova” del cammino ecumenico, verso l’unità visibile dei cristiani (n. 102 e 107).
Infine, il documento ricorda come ognuna delle domande che contiene vuole essere un servizio alla Chiesa e una possibilità di guarire le ferite più profonde del nostro tempo. L’Instrumentum laboris si conclude quindi con un invito a proseguire il cammino come “pellegrini di speranza”, anche nella prospettiva del Giubileo del 2025 (n. 112).
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