A poche ore dall’annuncio statunitense della ripresa, dopo 33 anni, dei test atomici e in un momento in cui il mondo torna a vivere la paura del nucleare, il vescovo di Hiroshima, monsignor Alexis Mitsuru Shirahama, ricorda che la pace si difende con la memoria e il dialogo. Presente all’Incontro internazionale tra culture e religioni “Osare la pace”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, il presule ha richiamato l’urgenza di un impegno concreto per un mondo senza armamenti nucleari. «Mentre i sopravvissuti invecchiano e il loro numero diminuisce – osserva in un’intervista ai media vaticani – stiamo passando a una generazione che non conosce gli orrori della guerra o della bomba atomica». Per questo, spiega, è necessario «ricordare, camminare insieme e proteggere», riprendendo le parole pronunciate da Papa Francesco nel 2019 a Hiroshima: «L’uso dell’energia atomica per motivi bellici è immorale, così come il possesso di armamenti nucleari è immorale».
Il regresso spirituale
Il vescovo ripercorre con lucidità la strada del disarmo nucleare. «Nel 1970 è entrato in vigore il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari – ricorda – da allora, il numero di testate nucleari, che un tempo superava le 70.000 unità, è sceso a circa 13.000. Tuttavia, mentre alcuni Paesi hanno scelto il cammino del disarmo, altri hanno sviluppato nuovi arsenali, potenziando la capacità distruttiva delle armi fino a 500 volte quella delle bombe di Hiroshima e Nagasaki». Un progresso tecnico che, osserva, tradisce un regresso spirituale. «Il rischio di un “inverno nucleare" capace di annientare l’umanità è una minaccia reale», ammonisce, sottolineando che le risorse destinate alle armi sottraggono vita e dignità a milioni di persone. «Innumerevoli vittime – indica ancora – sono state create nelle varie fasi di sviluppo, produzione e stoccaggio delle armi. Enormi somme vengono spese per questi strumenti di morte, mentre quelle stesse risorse potrebbero essere dedicate all’educazione e al benessere dei popoli».
La vocazione alla pace
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore nel 2021, rappresenta un passo di speranza: «È la concretizzazione – aggiunge Shirahama – degli sforzi degli Stati non nucleari e delle voci degli hibakusha (i sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki ndr) per camminare insieme verso un mondo libero da armi atomiche». Il vescovo vede nel disarmo una missione spirituale. L’umanità, dice, ha bisogno di ritrovare il senso della propria vocazione alla pace. «Sembra che abbiamo compiuto grandi progressi materiali, ma sul piano spirituale stiamo regredendo, perché non abbiamo imparato nulla da Hiroshima e Nagasaki. Dobbiamo riscoprire la spiritualità dell’uomo, se non vogliamo essere distrutti».
Costruire ponti
Il presule evoca l’appello di Papa Leone XIV, l’invito rivolto a tutti «a dare una mano, costruendo ponti gli uni verso gli altri, fino a diventare un solo popolo, sempre in pace». Shirahama fa proprie le parole del Pontefice, invitando i leader religiosi, le comunità di fede e le organizzazioni civili a considerarsi “ponti di pace” tra i diversi mondi. «Solo attraverso il dialogo paziente – spiega – potremo diventare un’unica famiglia umana che ama la pace». Ma l’appello del vescovo di Hiroshima guarda anche al futuro. La sua preoccupazione più grande è la scomparsa degli hibakusha, i testimoni diretti della tragedia atomica: «Ogni anno il loro numero si riduce, dobbiamo non solo sostenerli, ma far sì che le nuove generazioni raccolgano la loro testimonianza e la trasformino in azione concreta». Per questo la diocesi di Hiroshima, insieme a quella di Nagasaki, ha avviato programmi educativi e pastorali per coinvolgere i giovani. «Vogliamo far comprendere loro quanto fragile sia la pace e quanto disumana sia la logica della deterrenza – aggiunge – perché la pace non è un bene scontato, ma una scelta quotidiana».
Unica famiglia umana
Il vescovo condivide poi due iniziative in corso: una partnership con gli arcivescovi di Santa Fe e di Seattle, città legate alla storia nucleare per gli esperimenti di Los Alamos, e poi un programma quinquennale di raccolta fondi per sostenere gli hibakusha e le organizzazioni impegnate nel disarmo. «È un gesto di solidarietà concreta – spiega – ma anche un modo per educare i giovani alla corresponsabilità e alla speranza». Ciò di cui l’umanità si deve preoccupare è il pericolo di estinzione e «ci resta poco tempo», conclude il vescovo Shirahama, per questo, nella città del silenzio e della preghiera rinnova il suo appello al mondo: «Che tutti i popoli, attraverso un dialogo paziente, diventino un’unica famiglia umana che ama la pace».