Calendario romano: Gv 6,51-58
di Dante Balbo*
Una delle accuse rivolte ai cristiani nel primo secolo era di essere cannibali. I cristiani poi ribaltarono questa calunnia sugli ebrei, accusati praticamente di tutti i mali possibili. A fomentare queste dicerie era un enorme malinteso, generato da un'interpretazione letterale della Parola di Dio, in particolare del Vangelo di Giovanni nel sesto capitolo, in cui Gesù afferma senza mezzi termini che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non risusciterà nell'ultimo giorno. Ancora oggi è difficile spiegare che la Comunione, il pane azimo trasformato nel corpo di Cristo non è la sua carne umana, ma il suo corpo glorioso. Noi non potremmo mangiare un cadavere, sia perché in pochissimo tempo si sarebbe esaurito, sia perché Gesù è morto, ma poi è risorto. Nella risurrezione il corpo di Gesù è il medesimo, porta con sé i segni della passione, ma è completamente diverso, perché attraversa i muri, compare in posti differenti in tempi rapidi, soprattutto non muore più e può effettivamente donarsi ed essere tutto in un'ostia, e in tutte le ostie, se consacrate. Uniti al corpo di Cristo Risorto, noi entriamo in un'esistenza nuova, in cui i termini non sono più quelli umani, siamo proiettati nell'infinito della pienezza della vita, che ha voluto farsi presente con il linguaggio delle cose semplici come il pane e il vino, ma le trasforma così radicalmente che possiamo solo fidarci, certamente non capire con i nostri sensi. Le conseguenze di questa fiducia sono incommensurabili. Gesù in virtù della sua offerta sulla croce e della sua risurrezione diventa cibo, che supera d'un balzo l'incorporazione spirituale attraverso il Battesimo. I miracoli eucaristici ci dicono che quello di Gesù è un corpo reale, ma nello stesso tempo non si può ridurre al nostro corpo mortale, segnato dalla caducità e dalla finitezza della morte. Non solo non siamo cannibali, ma gustiamo nella semplicità del pane e del vino un'alleanza indistruttibile con Dio. *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino
Calendario ambrosiano: Lc 7,1b-10
di don Giuseppe Grampa
Decisiva in questa scena evangelica la parola del Centurione: «Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». L’ufficiale, da buon soldato, sostiene la sua richiesta sulla base della sua esperienza di uomo di comando. Sa che le parole con le quali trasmette ordini ai subalterni producono quanto comandano. Forse quell’ufficiale aveva ascoltato Gesù che proprio in quelle terre attorno al lago di Cafarnao più volte aveva detto la forza della sua parola attraverso l’immagine del seme, un minuscolo seme che produce un grande albero ospitale per gli uccelli del cielo.
Ecco quindi la sua ferma convinzione: «Dì una parola e il mio servo sarà guarito». E Gesù riconosce che in Israele nessuno ha manifestato una fede tanto sicura nell’efficacia della Sua Parola. Ancora una volta uno straniero, un soldato romano del tutto estraneo al popolo dei figli di Abramo manifesta una fede che non ha l’eguale in Israele.
«Dì una parola e…». Riconosciamolo: è per noi difficile affidarci alla efficacia della parola. Non ci basta la parola, vogliamo sicure garanzie. Eppure in passato bastava la sola forza della parola dei contraenti perché un contratto avesse definitivo e perenne valore. Si diceva: «Hai la mia parola» e questo bastava. Ma anche oggi vi sono parole che hanno la solidità della roccia, parole sulle quali è possibile costruire un’intera vita. Pensiamo alle parole che si scambiano un uomo e una donna, accogliendosi reciprocamente nella buona e nella cattiva sorte finché la morte non li separi. Quelle poche parole hanno la forza di mutare la vita di quelle due persone.
Anche la parola di Gesù ha la stessa forza. È così efficace da realizzare quanto dice. Nel cuore della celebrazione saranno ripetute le parole del Signore: quelle parole e la potenza dello Spirito di Gesù ci donano il suo corpo e il suo sangue, il gesto supremo del suo amore per noi e per tutti.
Intervista a fra’ Michele Ravetta, cappellano delle strutture carcerarie cantonali.
Un centinaio di persone, il 15 dicembre, hanno fatto un percorso dal sagrato della chiesa di S. Rocco fino alla chiesa di S. Giorgio, dove si è potuto ammirare, in una grotta, la rappresentazione vivente della Natività.
Raccolti CHF 26'500 a sostegno delle persone in difficoltà in Ticino. I fondi saranno destinati a due realtà locali che incarnano i valori di solidarietà ed assistenza: alla Lega Cancro Ticino (in aiuto ai bambini) ed alla Fondazione Francesco (di fra Martino Dotta)