Calendario Romano Anno C / Lc 17, 11-19 / XXVIII Domenica del Tempo ordinario
I Fuori-Casta e il Dio dell’impossibile
di Dante Balbo*
Le caste in India designano le classi sociali e sono chiuse, invalicabili. Oggi il termine è usato anche in senso figurato, per rappresentare la casta dei potenti, dei politici, dei medici o dei poteri mediatici. Anche in Israele un «buon ebreo» non si confondeva con samaritani, pubblicani, peccatori pubblici, stranieri, donne…
Gesù predilige proprio i fuori-casta: parla con una donna, per giunta samaritana, per rivelarle il mistero dell’adorazione oltre il tempio; guarisce stranieri; usa come esempio un samaritano in alternativa ad un sacerdote o a un levita, per spiegare la misericordia; prende fra i suoi apostoli un pubblicano; porta in cielo per primo un ladrone. Lui stesso è un emarginato, viene dalla Galilea, un posto di confine, tanto che Bartolomeo che sarà suo apostolo, ha da obiettare che da quelle contrade possa venir fuori un Messia. Il motivo di questa profonda attrazione di Gesù per gli emarginati, secondo don Willy Volonté è la loro apertura, la loro disponibilità ad accogliere una salvezza possibile. Questo è il dramma della modernità, in cui l’attesa è sopita, la speranza aggrappata a piccole mete. Possiamo ritrovare la meraviglia che un Dio possa sconvolgere la nostra vita e ridargli un senso, come ha fatto con Matteo, Zaccheo, Pietro, ma anche Francesco e Teresa, Massimiliano Kolbe e Benedetto, che si sono lasciati cambiare la vita, perché non pensavano di possederla o di averla esaurita nel misero orizzonte del loro sguardo. Anche nel Vangelo odierno è un samaritano che torna a ringraziare il maestro che lo ha guarito dalla lebbra insieme ad altri nove, i quali si sono accontentati del corpo risanato, in breve consumato dagli anni, senza riconoscere lo straordinario dono ricevuto. Lo stupore per un Dio che riesce a mostrarci un’altra via laddove c’era solo il buio, scatena la gratitudine, ma solo in chi può accogliere la novità di un amore gratuito che per primo ci ha amato e ha creduto in noi, tanto da morirne.
*Dalla rubrica televisiva Il Vangelo in casa di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e su YouTube
Calendario ambrosiano Anno C/ Mt 10, 40-42 /Domenica Vi dopo il Martirio di Giovanni
Accoglienza e ospitalità: l’eredità del Vangelo
di don Giuseppe Grampa
La parola chiave di questa domenica è ospitalità. Ma perché accogliere? La prima ragione dell’accoglienza nei confronti di ogni essere umano è il suo essere creato a immagine e somiglianza di Dio Creatore. La suprema dignità di ogni essere umano è nel suo essere l’unica vivente immagine di Dio. Per questo nessun potere può disporre dell’uomo, perché nessuno può disporre di Dio. Accogliere l’uomo vuol dire accogliere Dio stesso. Siamo inoltre chiamati ad accogliere ogni uomo perché questo è stato l’agire di Gesù, accogliente soprattutto nei confronti dei «diversi», dei «lontani», degli «emarginati». Emblematico il rapporto di Gesù con i Samaritani. Proprio in questa comunità Gesù sceglie i modelli esemplari di veri discepoli. Basterà ricordare che quando Gesù vorrà darci un esempio di autentico amore sceglierà proprio un Samaritano, il buon Samaritano. C’è in questa scelta da parte di Gesù un chiaro intento polemico: presentare come vero discepolo appunto uno straniero, un diverso, un escluso, colpendo alla radice il pregiudizio che non riconosce a ogni uomo uguale dignità. Dovrebbero bastare questi rapidi cenni ricavati dalla nostra fede per sconfiggere troppi atteggiamenti di ostilità, diffidenza, chiusura che impediscono l’accoglienza. Ma l’accoglienza è raccomandata anche da ragioni di convenienza per i nostri Paesi segnati da forte invecchiamento e che dagli immigrati ricavano significativi vantaggi. Dobbiamo a questi lavoratori non solo un trattamento salariale rispettoso della legalità, ma anche dobbiamo loro riconoscenza e rispetto. Le doverose esigenze di sicurezza non devono alimentare chiusure ed esclusioni. Una opinione pubblica che non abbia del tutto dimenticato le sue radici cristiane non potrà accettare logiche di chiusura ed esclusione. È triste constatare come duemila anni di cristianesimo sembrano non aver intaccato paure e diffidenze nei confronti dell’altro. Lasciamoci tutti giudicare dall’Evangelo.