di Silvia Guggiari
Come viaggia la religione nell’era 2.0? Come (e cosa) comunicano le comunità religiose negli ambienti digitali? E quale utilizzo fanno delle piattaforme social? Sono questi alcuni degli interrogativi ai quali si è cercato di dare una risposta nella ricerca condotta dalla Istituto ReTe e presentata alla stampa mercoledì scorso, alla Facoltà di Teologia di Lugano. Il progetto, finanziato dalla Rete integrata Svizzera per la sicurezza, dal Dipartimento Federale di Giustizia e dalla Polizia Cantonale ha prodotto una mappatura dell’infosfera religiosa del Canton Ticino catalogando la presenza online di iniziative, associazioni e attività di carattere religioso: un’analisi utile a conoscere le comunità religiose presenti in Ticino con un occhio anche alla sicurezza. Uno studio che si colloca in un disegno più ampio, condotto dal Servizio per l’integrazione degli stranieri del Canton Ticino (SIS) e il Centro intercantonale di informazione sulle credenze (CIC), di monitoraggio dei luoghi fisici di culto religiosi i cui risultati saranno presentati ufficialmente il 27 febbraio a Bellinzona.
Un lavoro, quello presentato mercoledì, che riguarda gli ambienti digitali “abitati da ognuno di noi” e che mira ad “avere una conoscenza più approfondita del territorio”, ha commentato il prof. René Roux rettore della Facoltà. “Una conoscenza necessaria”, secondo l’onorevole Benedetta Bianchetti, presidente del consiglio comunale di Lugano, “per comprendere le dinamiche sociali del nostro territorio e costruirne di nuove”. L’obiettivo di queste ricerche, ha spiegato Michela Trisconi, Delegata cantonale per l’integrazione degli stranieri, “non è il monitoraggio ne il controllo, bensì quello della valorizzazione delle conoscenze delle attività delle comunità religiose e spirituali, riconoscendo il contributo che questi enti offrono alla coesione sociale arricchendo il tessuto sociale e spirituale del nostro cantone”. “Oggi osserviamo una radicalizzazione anche tra i giovani in Svizzera - ha commentato Martin von Muralt, responsabile Delegato per la Rete integrata Svizzera per la sicurezza -, il cui reclutamento spesso avviene attraverso canali nascosti. Dobbiamo dunque offrire ai giovani strumenti perché non cadono nelle mani di questi reclutatori, con una prospettiva di prevenzione e di integrazione”.
A presentare la ricerca, le modalità di studio e i dati analizzati sono stati il prof. Adriano Fabris, direttore dell’Istituto Rete, insieme a Valerio Proserpio e Marco Menon, dell’Istituto ReTe. 491 i link identificati e catalogati: 348 appartenenti a pagine su piattaforma (Facebook, Instagram, YouTube, X, TikTok, Spotify, Linkedin) e 143 appartenenti a siti web tradizionali che fanno riferimento a realtà religiose localizzate nel Canton Ticino: le pagine attive sono state monitorate per un periodo di sei mesi, consentendo la raccolta di 5211 contenuti. “Tra gli obiettivi dello studio - hanno commentato i relatori - vi è quello di essere uno strumento utile al monitoraggio e al riconoscimento di eventuali manifestazioni di radicalismo in ambito religioso”.
Particolare interesse è stato prestato ai modi in cui l’esperienza religiosa all’interno dei vari contesti religiosi si viene modificando e a come l’uso delle tecnologie cambia la struttura stessa della comunità, nonché la relazione con il divino: “Abbiamo constatato che le varie comunità si concentrano perlopiù su sé stesse con un relativo disinteresse a quello che avviene al di fuori di esse” - hanno commentato gli studiosi - “A causa della struttura chiusa e autoreferenziale del social, ci siamo resi conto che non ci sono interazioni o dialoghi interreligiosi tra queste piattaforme: poca attenzione all’attualità dunque, ma quando se ne parla spesso c’è un’interazione”. La lingua utilizzata è quasi totalmente quella italiana ad eccezione delle pagine associate alle comunità ortodosse e alle comunità islamiche”. Ma il linguaggio in assoluto utilizzato maggiormente è quello delle immagini e dei video, proprio per la natura dei social che invita “a condividere, a commentare o a discutere le immagini”.
Tra le interazioni di contenuti social, Tik tok è il dominatore assoluto dell’infosfera, seguito da Facebook e Instagram. Tra i contenuti analizzati è emerso un forte legame tra la dimensione reale legata ad eventi sul territorio e quella digitale: “Quello che interessa in queste piattaforme è uno scambio dell’esperienza religiosa. Rimane però scarso il dialogo tra le diverse comunità religiose”. “Questa ricerca - ha concluso il prof. Fabris - ci ha coinvolti per vari motivi: la conoscenza del territorio, la prevenzione, l’integrazione, ma anche la promozione della conoscenza delle religioni e il dialogo interreligioso. In questo studio ci siamo limitati a siti e ai social, adesso è in atto la rivoluzione dell’Intelligenza artificiale che sta cambiando nuovamente anche l’esperienza religiosa”.
E la Chiesa come utilizza internet e le piattaforme digitali? Già al tempo di San Giovanni Paolo II, all’inizio degli anni 2000, il Dicastero delle comunicazioni sociali pubblicò due documenti sul “tema dell’esperienza religiosa in Internet». Poi, Benedetto XVI si è mostrato apparentemente meno interessato: “ricordiamo tutti l’immagine di lui che dava vita al profilo Twitter ma per il resto non ha portato avanti una riflessione su come comunicare al tempo di internet”. Negli ultimi anni, commenta in conclusione il prof. Fabris, Francesco è tornato alle tematiche della comunicazione online soprattutto in riferimento all’IA, pubblicando diversi studi e messaggi sul tema».
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